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Ricordando Don Bosco - 10 anni tra studio e lavoro

di Gb

Nella città di Chieri Giovanni Bosco dimorò dal novembre 1831 al maggio 1841: gli anni decisivi dell'adolescenza e della giovinezza, durante i quali andò strutturando e consolidando la sua personalità.
Arrivò sedicenne, ragazzo di campagna, pieno di buona volontà e ne partì prete ventiseienne, spiritualmente solido, culturalmente preparato, con una gran voglia di tuffarsi nel ministero pastorale, particolarmente a favore dei giovani.
Tutti i brani in corsivo sono autobiografici di Don Bosco e sono presi da “Memorie dell’Oratorio”. 




Nella cittadina di Chieri

Avevo 15 anni. La scuola pubblica e il maestro diverso misero a dura prova quel poco che avevo imparato fino a quel giorno. Dovetti quasi ricominciare la grammatica italiana e procedere faticosamente verso quella latina.
Nei primi tempi andavo da casa a scuola ogni mattina e ogni pomeriggio, percorrendo tra andate e ritorni qualcosa come venti chilometri al giorno.
Ma appena cominciò sul serio l'inverno, questo ritmo si dimostrò impossibile. Fui messo quindi a pensione da Giovanni Roberto, un brav'uomo che faceva il sarto.
Era anche un buon cantore dilettante di musica profana e sacra. Poiché anch'io avevo una buona voce, mi insegnò la musica. In pochi mesi potei salire sulla cantoria della chiesa ed eseguire con lui brani di musica sacra.
Nel tempo libero cominciai anche a divertirmi con ago e forbici. In poco tempo divenni esperto nell'attaccare bottoni, fare orli, eseguire cuciture semplici e doppie. Riuscii anche a perfezionarmi.

Tre classi in un anno
Siccome gli studi fatti fin allora erano un po' di tutto, cioè un po' di niente, fui consigliato a iscrivermi alla sesta classe (una specie di prima media).
Per la mia età (16 anni compiuti) e la mia statura, tra gli alunni piccolini sembravo un pilastro. Era una situazione che mi avviliva. Dopo appena due mesi, avendo ottenuto una splendida pagella, fui ammesso all'esame per passare in quinta. (L'ordine delle classi era decrescente. dalla quinta si passava alla quarta, alla terza, ecc.).
Entrai volentieri nella nuova classe, perché gli alunni erano un po' più grandi. Passati altri due mesi, ottenni nuovamente splendidi voti. In via eccezionale fui ammesso a un altro esame e promosso alla quarta.

Quando si dimentica un libro
Quel giorno avevo dimenticato a casa il libro degli autori latini. Perché il professore non se ne accorgesse, tenevo spalancato davanti un altro libro, la grammatica.
I compagni se ne accorsero. Uno diede di gomito al vicino, un altro si mise a ridere, la classe cominciò ad agitarsi. - Che cosa c'è? - domandò il professore - Che cosa capita? Voglio saperlo immediatamente!
Vedendo che molti guardavano nella mia direzione, mi comandò di rileggere il testo e di ripetere la sua spiegazione. Mi alzai in piedi tenendo in mano la grammatica, e ripetei a memoria il testo e la spiegazione. I compagni, quasi istintivamente, fecero un « oh » di meraviglia e batterono le mani.
Il professore andò su tutte le furie: era la prima volta - gridava - che non riusciva a ottenere ordine e silenzio. Mi diede uno scappellotto, che riuscii a scansare piegando la testa. Poi, mettendo una mano sulla mia grammatica, si fece spiegare dai vicini la causa di « quel disordine ».-
Bosco non ha il libro di Cornelio. Tiene in mano la grammatica. Eppure ha letto e spiegato come se avesse sotto gli occhi il libro di Cornelio.
Il professore guardò allora il libro su cui aveva appoggiato la mano, e volle che continuassi la « lettura » del Cornelio ancora per due periodi. Poi mi disse:
- Ti perdono per la tua felice memoria. Sei fortunato. Procura di servirtene sempre bene.Alla fine dell'anno scolastico fui promosso alla terza classe.

Due terzi della notte a leggere
Non vi nascondo che avrei potuto studiare di più. Ma per imparare tutto il necessario mi bastava l'attenzione a scuola. In quel tempo avevo una memoria così felice che per me non c'era differenza tra leggere e studiare. Potevo con facilità esporre il contenuto di qualunque libro che avessi letto o sentito raccontare. Mia madre, inoltre, mi aveva abituato a dormire molto poco. Potevo quindi passare due terzi della notte a leggere libri, e spendere poi quasi tutta la giornata in attività libere. Davo ripetizioni e facevo lezioni private. Facevo tutto per amicizia e per carità, non per guadagno. Molti però mi pagavano ugualmente. 

Nell'anno 1832-1833, in attesa di una sistemazione migliore, va a fare lo stalliere presso un certo signor Cavallo, e dorme per alcuni mesi in un angolo della stalla.
Finalmente un amico di famiglia, Giuseppe Pianta, apre un «caffè» in via Palazzo di Città, e gli offre un posto di barista. Dovrà pulire il locale al mattino, prima di recarsi a lezione, e passare le ore serali al banco di mescita e poi nel salone del biliardo. In cambio, il signor Pianta gli offre una minestra due volte al giorno e l'alloggio.
Nelle ore libere dallo studio, Giovanni andava nella falegnameria Barzocchino. Imparò a piallare, a squadrare, ad adoperare lo scalpello. Un giorno, tutte queste esperienze artigianali gli sarebbero servite a fondare le scuole professionali in Valdocco.

Nell'agosto del 1835, a 20 anni, concluse il corso ginnasiale con un brillantissimo esame che lasciò stupefatto l'esaminatore, prof. Lanteri, tanto che a un dato momento si alzò per stringergli la mano e congratularsi con lui. Per votazione Giovanni ottenne: plus quam optime (cf MB 1, 327).

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