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Ricordando Don Bosco - La Società dell'allegria

di Gb

Scrive Don Bosco nelle Memorie dell’Oratorio: «Io aveva fatto tre categorie di compagni: Buoni, indifferenti, cattivi.
Questi ultimi evitarli  assolutamente e sempre appena conosciuti; cogli indifferenti trattenermi per cortesia e per  bisogno; coi buoni contrarre famigliarità.
Siccome poi i compagni, che volevano tirarmi ai disordini, erano i più trascurati nei  doveri, così essi cominciarono a far ricorso a me, perché facessi la carità scolastica  prestando o dettando loro il tema di scuola.
Cominciarono quelli a venire per ricreazione, poi per ascoltare racconti, e per fare il tema scolastico e finalmente venivano senza nemmeno cercarne il motivo.
Per dare un nome a quelle  riunioni solevamo chiamarle Società dell'Allegria; nome che assai bene si conveniva,  perciocché era obbligo stretto a ciascuno di cercare que' libri, introdurre que' discorsi, e  trastulli che avessero potuto contribuire a stare allegri; pel contrario era proibito ogni cosa  che cagionasse malinconia specialmente le cose contrarie alla legge del Signore. 
Queste cose contribuirono a procacciarmi stima, e nel 1832 io era venerato da' miei  colleghi come capitano di un piccolo esercito. Da tutte parti io era cercato per dare  trattenimenti, assistere allievi nelle case private ed anche per fare scuola o ripetizione a  domicilio.
Con questo mezzo la divina provvidenza mi metteva in grado di provvedermi  quanto erami necessario per abiti, oggetti di scuola ed altro senza cagionare alcun disturbo  alla mia famiglia.»

Che cosa impariamo dal piccolo narratore dei Becchi che la domenica pomeriggio ripete la predica e intrattiene i compagni con giochi di bravura, o dal lettore fanciullo delle fredde sere d’inverno che declama antiche novelle cavalleresche per rallegrare parenti e vicini raccolti nel tepore della stalla? 
Giovannino Bosco è figlio di una cultura contadina orale, che esprime il senso dell’esistenza e i grandi valori della fede attraverso i racconti e riconosce la propria identità nelle storie dei santi, nella narrazione degli interventi straordinari di Dio, nella trasmissione delle memorie di famiglia e di popolo e nei simboli rievocati da antiche leggende.
Egli ha ereditato dalla terra d’origine e dalla tradizione cristiana il gusto e l’arte del racconto. In questo campo fu particolarmente bravo.
Da ragazzo e da adulto si è rivelato un fecondo e affascinante  narratore. Sapeva usare tutti i segreti di un buon contastorie: stuzzicava la fantasia e l’intelligenza, caratterizzava con efficacia i diversi personaggi, evocava situazioni e stati d’animo, drammatizzava i contrasti, teneva sospesi gli ascoltatori con trame ben costruite.
Giovannino Bosco sperimentò molto presto l’efficacia fascinatrice e comunicativa di un buon racconto e in ogni circostanza si servì abbondantemente di quest’arte per illuminare le menti e toccare i cuori e così coinvolgere gli ascoltatori nei valori che egli amava.
Da ragazzino prendeva gusto a incantare con racconti gli amici dei Becchi, come leggiamo nelle Memorie dell’Oratorio: «Ciò che li raccoglieva intorno a me, e li allettava fino alla follia, erano i racconti che loro faceva. Gli esempi uditi nelle prediche o nei catechismi; la lettura dei Reali di Francia, del Guerino Meschino, di Bertoldo, Bertoldino, mi somministravano molta materia. Appena i miei compagni mi vedevano, correvano affollati».
Quando, all’età di 16 anni, si trasferì a Chieri, usò la stessa strategia per la conquista dei compagni più dissipati: «Cominciarono quelli a venire per ricreazione, poi per ascoltare racconti e per fare il tema scolastico e finalmente venivano senza nemmeno cercarne il motivo».
L’amico Giona, ebreo, rimase affascinato dalla sua arte di intrattenitore: «Ogni momento libero egli veniva a passarlo in mia camera; ci trattenevamo a cantare, a suonare il piano, a leggere, ascoltando volentieri mille storielle che gli andava raccontando».
Per questa strada il giovane ebreo venne introdotto alla conoscenza del messaggio di Cristo. 
Raccontando le performances di quegli anni giovanili don Bosco confesserà che era mosso dal desiderio di essere ammirato e applaudito.
Ma quando, finiti gli studi superiori, dopo un accurato discernimento vocazionale, si decise a seguire la propria vocazione, superò ogni vanagloria e orientò esclusivamente in funzione apostolica le sue doti narrative: «Andato a casa per le vacanze, cessai di fare il ciarlatano e mi diedi alle buone letture, che, debbo dirlo a mia vergogna, fino allora aveva trascurato.
Ho però continuato ad occuparmi dei giovanetti, trattenendoli in racconti, in piacevole ricreazione, in canti di laudi sacre, anzi osservando che molti erano già inoltrati negli anni, ma assai ignoranti nelle verità della fede, mi sono dato premura d'insegnare loro anche le preghiere quotidiane ed altre cose più importanti in quella età».