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Domenica delle Palme: dall'esultanza alla passione e viceversa

di padre Gian Franco Scarpitta

Palme e rametti di ulivo si ostentano oggi davanti al sacerdote che impartisce la benedizione su di esse, aspergendoli con acqua benedetta. E la folla dei fedeli, oggi presente come non mai, si stringe pigiata in chiesa o in altro luogo idoneo per ricevere tale aspersione e per poi seguire la lettura del racconto della Passione di nostro Signore Gesù Cristo. 
Avviene qualcosa di insolito in questa domenica che non è simile alle altre, appunto perché oggi intervengono tantissime persone, anche fra quelle che normalmente disertano la Messa domenicale e tutte sono animate da un insolito entusiasmo che rende l'idea della gioia e della serenità di spirito. 
Può darsi che si stia svolgendo un rito straordinario che attira l'attenzione solamente per la sua irripetibilità e per la sua caratteristica unica; forse ci si vuole semplicemente entusiasmare per qualcosa di diverso che affascina e seduce e non è escluso che vi siano anche, nel mezzo di questa turba di popolo anche i non credenti o gli indifferenti, interessati solamente a soddisfare una consuetudine abitudinaria 
Tutte queste spiegazioni non smentiscono tuttavia che ad attirare, in un modo o nell'altro, è lo stesso Gesù Cristo e che la folla che si accalca nelle nostre chiese è paragonabile a quella della città di Gerusalemme che fa ressa attorno a Gesù man mano che entra nella città. Al suo passaggio gli abitanti del posto fanno ovazione e lanciano palme, rametti d'ulivo e stendono anche i loro mantelli. Tutte consuetudini riservate a grandi uomini illustri quali i re e gli imperatori o i generali di eserciti che rientrano vittoriosi. 
. Celebriamo infatti l'esultanza per l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, condividendo quella che era la sua gloria di Signore, accreditato per mezzo di segni e di miracoli. 
Questo ingesso trionfale non segna tuttavia l'arrivo ma la partenza. E non prevede la sola esultanza e la gioia, ma anche il martirio e la passione. Prima di entrare a Gerusalemme, Gesù aveva predetto quale sarebbe stato il suo destino e aveva accentuato la consapevolezza che esso doveva riguardare soprattutto la morte di croce. In lui si realizzano le attese del profeta Zaccaria, che aveva previsto il suo ingresso sull'umile cavalcatura di un asino (Zc 9, 9) ma anche che "volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto" (Zc 12, 10) e che si configurerà al Servo Sofferente di Yahvè. Il suo è un destino di esultanza e di gloria, seguito dall'amara esperienza del dolore, dell'umiliazione e della morte di croce. E così momenti di gioia e di esaltazione si trasformano presto in frustrazioni, angoscia, pianto, paura e solitudine per poi assumere l'aspetto infame del flagello, della corona di spine, degli scherni e degli spintoni sotto il peso della croce (del palo trasversale) sorretta sulle spalle fino al Golgota, e finalmente dei chiodi lancinanti della croce. 
Celebrare il passaggio dall'esultanza, alla passione fino alla morte di Gesù sarà per noi appuntamento liturgico irrinunciabile, ma accompagnare Gesù in questo penoso percorso è indispensabile nell'itinerario della nostra vita, nella quale rleviamo tutti i giorni che il male e il bene sgomiteranno come antagonisti a ritmo altalenante fino alla fine dei tempi e il dolore si alterna alla gioia anche a proposito delle continue vicende del vissuto di casa nostra. Sono comune esperienza per tutti sia le sconfitte che le vittorie, sia il dolore che la gioia, l'esultanza e il trionfo come l'umiliazione e la demoralizzazione e del resto ciascuna di queste tappe va considerata nella sua importanza e legittimità. Della nostra vita va valorizzato sia il bello che il cattivo tempo, occorre assumere la prova e il dolore fino in fondo e se dovessimo ottenere sempre, comunqque e in ogni caso successo e benessere ciò sarebbe lo stesso che soffrire in eterno. 
La vittoria si gusta solo dopo la fatica, il successo è conseguenza di lotte e di fallimenti anche inaspettati, il trionfo è conseguente alle ferite e solo dopo aver rimarginato queste è possibile cantar vittoria in pieno gaudio. Analogamente, ogni traguardo conseguito non può non esserci di sprone a guardare retrospettivamente quanto si è sofferto per conseguirlo, affinché possiamo concepire che la gloria non piove dal cielo e non viene data a nessuno se non dopo ostili tappe necessarie. 
L'ingresso di Gesù a Gerusalemme ci invita a considerare sia la croce che la resurrezione nel loro insieme e se siamo orientati alla gloria definitiva e alla Risurrezione, ciò non toglie che la speranza e la perseveranza si fondano sullo stesso patibolo vissuto dal Cristo. Siamo quindi spronati alla fiducia, alla perseveranza e alla costanza nella prova e alla fuga da ogni tentazione a desistere. 
Al contempo ci si invita ad evitare eccessiva autoesaltazione e alla fuga dalla trappola dell'autocompiacimento nel successo conseguito e alla riconoscenza nelle occasioni di abbondanza e di prosperità perché anche nella Resurrezione possiamo considerare quanto è valsa la croce. E lo stesso Signore possa vivere la medesima Settimana di passione nella nostra vita e nei nostri travagli quotidiani.

Ascolta il commento di Fernando Armellini