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I ragazzi in difficolta' nella sfera Educativa Salesiana

di Valeria S.

La dispersione scolastica si manifesta e risulta collegata a molteplici situazioni di disagio: osserviamo l’evasione dall’obbligo, gli abbandoni, il proscioglimento dall’obbligo senza conseguimento del titolo, le ripetenze, le bocciature, le frequenze irregolari, i ritardi rispetto all’età, l’assolvimento formale dell’obbligo e la qualità scadente degli esiti.

Si possono individuare cause esterne e interne alla scuola che possono facilitare problemi scolastici: la debolezza del rapporto tra scuola e famiglie, la crescita del bullismo e teppismo scolastico e ogni situazione di particolare debolezza dell’alunno, il grado di sviluppo socio-economico del contesto territoriale di appartenenza, il patrimonio culturale di base dell’alunno, strettamente legato al titolo di studio posseduto dai genitori, la “cultura del lavoro” presente in alcune zone del Paese e tanto altro.

Dalle cause appare dunque evidente che oltre al rendimento scolastico fine a se stesso il minore deve far fronte al contesto familiare, al rapporto con i coetanei e alle scelta relative ai cammini scolastici e al tempo libero: si tratta di tappe che concorrono alla maturazione del minore e che non possono essere trascurate nel “sostegno” che può essere offerto ai minori all’interno delle ore scolastiche.

Nel mio lavoro quotidiano in un istituto salesiano a contatto con minori in difficoltà (di vario tipo a cominciare da quelle propriamente didattiche e cognitive), faccio miei i principi del metodo preventivo di Don Bosco e cerco di realizzarli nel concreto.

Prima di tutto la consapevolezza che l’educazione, nella sua prospettiva preventiva, è un fattore di umanizzazione  e di trasformazione sociale

Il metodo dunque non si identifica con un intervento di “pronto soccorso”, di assistenzialismo, ma è opera che tende alla lenta e graduale “crescita della persona”.

A livello operativo c’è il principio fondamentale che bisogna prestare attenzione “al potenziale che c’è in ogni persona”…e questo potenziale c’è e come nei minori in difficoltà! 

Bisogna solo, con strumenti, metodologie, tempi e ritmi particolari, “tirarlo fuori”.

E qual è l’approccio giusto per farlo?

Anche qui, richiamando Don Bosco, non posso non citare un “approccio educativo amorevole”, sostenuto dall’affetto, dalla fiducia nelle potenzialità positive del giovane e nella sua reale capacità di aprirsi all’amore e alla solidarietà verso gli altri.

Il modello educativo di Don Bosco è basato su una fondamentale fiducia nella persona umana come centro di risorse, doti, di possibilità latenti che attendono solo di essere sviluppate.

In ogni giovane, (anche il più abbandonato), vi è un punto accessibile al bene, e dovere primo dell’educatore/insegnante è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e trarne profitto”.

Anche nei casi più sfortunati ci sono corde che possono vibrare.

Scopo di questa metodologia educativa è quella di creare le condizioni non solo personali ma ambientali e relazionali perché la persona possa crescere, maturare come cristiana e cittadina, cioè vivere la sua soggettività in funzione dell’intersoggettività.

Vivere nel mondo non come semplice presenza (in difficoltà) ma come appartenenza.

In ultimo cerco di non far mancare mai al centro del mio “fare” in termini propriamente operativi, l’armonia pedagogica.

E’ la ragione dell’efficacia del metodo, del clima gioioso e ottimistico che si respira nell’ambiente salesiano e delle stesse motivazioni che sostengono la formazione dei giovani alunni in difficoltà.

In un panorama pedagogico è estremamente significativa la riflessione sull’assunzione di un metodo dalla forte istanza progettuale.

L’istanza progettuale è propria di chi fa parte dei bisogni reali della persona e punta nella direzione di valori mediante interventi didattici programmati, non casuali, opportuni, condivisi, sempre verificati.

Dalle mie esperienze di volontariato in Africa e dal mio lavoro quotidiano come formatrice in un Istituto Salesiano, ho imparato e continuo ad imparare molto dai giovani…soprattutto da quelli in difficoltà.

Il principio fondamentale è che in qualsiasi posto del mondo…compresi interi territori martoriati dalla fame, dalla miseria e dalle malattie…il metodo educativo che adotto pone al centro la persona in quanto la considero non come entità filosofica, ma come “progetto incompiuto” dal volto irripetibile, come essere responsabile, aperto al futuro (anche se il futuro di un bambino africano è più in salita di un bambino italiano..), ricco di potenzialità illimitate.

E perché tutto questo?

Perché ogni giovane porta in sé l’impronta di Dio ed è chiamato da lui…con tutti i suoi limiti e le sue doti...ad arricchire il mondo insieme agli altri.

 

Valeria S. 
(laureata in sociologia, presta la sua collaborazione presso la scuola Media di un Istituto Salesiano dal 2004)