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La preghiera del "sorriso" la spiritualità della gioia

di don Erino Leoni, salesiano

“Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù (Fil 4,4-7)”.

Quasi un imperativo. Non c’è alternativa credibile. E l’insistenza della ripetizione lo attesta con chiarezza. Questa è la nostra carta d’identità. Tessera di riconoscimento davanti a tutti gli uomini. La gioia, che diviene disponibilità di tratto, cordialità, gentilezza, perché il cuore è nella pace o meglio è in LUI. Questa la prima eco di una preghiera autenticamente cristiana e salesiana. Una preghiera che conduce alla letizia vera, perché Lui questo desidera per ogni suo figlio. E il Figlio unigenito non solo lo ha rivelato, ma ha manifestato anche qual’era il disegno eterno del Padre suo: “che tutti avessero la vita e l’avessero in abbondanza (Gv 10)”.

La gioia, frutto di un incontro che colma il cuore (come quando s’incontra una persona da cui ci si sente amati). Frutto perché incontrare Gesù è un lasciarsi amare, prima che un amare; è un lasciarsi perdonare che ridona speranza, è un prendere coscienza che siamo chiamati a miracoli quotidiani se ci lasciamo condurre da Lui.

Il sorriso, evidenza di un incontro che si prolunga in ogni istante (come quando ci si sente “con le spalle coperte”). Evidenza perché incontrare Gesù purifica lo sguardo e lo guarisce dalle cecità che non ci permettono di riconoscerlo accanto in ogni cosa, e ci si rivela davanti agli occhi che tutto ciò che ci è dato è dentro un disegno più grande di noi, disegno d’amore progettato dall’eterno .

Serenità e fiducia, verità di un incontro con il Signore che ha in mano il mondo e anche il mio piccolo frammento.Verità perché incontrare Gesù è scoprire il tesoro nascosto che fa della nostra vita il luogo di continue risurrezioni, perché Lui vince, sempre, su ogni ferita, dolore, male. E nulla viene buttato via se posto nelle sue mani.

Allegria, certezza, di un incontro che ha costruito comunione, amicizia, fraternità con Lui e con ogni fratello. Certezza, perché incontrare Gesù è toccare con mano la follia del suo amore crocifisso che non si ferma davanti a tradimenti, ingiurie, violenza e divisioni. E che incontrarlo non può che farci incontrare fra noi. Perché l’amore dilaga.

Don Bosco lo aveva fatto maturare con chiarezza ai suoi ragazzi tanto da porlo come secondo cardine della santità: “Noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri”.

Papa Francesco ce lo ripete con insistenza: “Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua… persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». (EG, La gioia del Vangelo)

Perché chi si è lasciato incontrare da Dio, Dio gli si è donato, e Dio è gioia vera, anche quando giudica come un padre che vuole purificare, valorizzare e rendere pregevolissimo il diamante che è suo figlio.

Don Bosco ha temuto la tristezza. Quei musi lunghi, quelle lamentosità costanti, quelle letture drammatiche del mondo e della vita, quel tirarsi indietro perché è rischioso donarsi. Quel biascicare ripetitivo di formule o quell’incuranza della casa di Dio. Sciatteria, abitudinarietà, rigidità che non apre il cuore al Dio della gioia. Preghiere senza preghiera, senza il Dio di Gesù. Don Bosco ha temuto questo perché “solo il demonio ha ragioni per essere triste”.

Allora la preghiera salesiana è carica di gioia ed entusiasmo. È festa di un incontro. È festa di una comunità e mai di un solitario asceta.  È festa che contagia e coinvolge.  È festa di paradiso che già sin d’ora è qui. È festa dove la creatività è il linguaggio sempre nuovo di chi ama con tutto se stesso. Con il proprio corpo, con la propria voce, con tutta l’esistenza. Creatività è toccare con mano la novità di Dio nell’istante unico e irrepetibile nel quale si dona a noi. Creatività come nel settimo giorno, festa prima, dove Dio si riposa contemplando la nostra esistenza colmata dai suoi doni.

Sì la preghiera è il luogo del riposo di Dio. Del Suo gioire per la nostra gioia. Del Suo amarci mentre lo amiamo. Dio riposa nel nostro riposo. Perché la preghiera salesiana è il tempo e lo spazio dove, dopo la consumazione di sé per il bene delle anime, si rinnovano le energie, si consegnano le ferite dei fratelli, si contempla la Sua presenza nell’opera faticosa dei giorni. Allora la preghiera è fonte di pace, di fiducia, di rinnovato slancio.

“Quando Mosè scese dal monte Sinai… non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. (Es 34,29-30)”.

Chi lo incontra non può che essere raggiante. Così fosse all’uscita delle nostre chiese. Nascerebbe in chi è fuori la meraviglia di una visione, il sacro timore, che testimonia di una presenza reale e di un incontro effettivo, e, forse, il desiderio di sperimentare la medesima grazia. Preghiera e gioia (un contagio) una esperienza a cui non si può rinunciare. Pena negarsi o negare la realtà stessa di Dio.