Share |

Articoli

torna all'elenco

Omelia della XXIII domencia per anno B, 30_08_2015 Effatà, Apriti

di Don Ferdinando Colombo

Omelia della XXIII domenica per anno B - Vangelo: Marco 7, 31-37

Bologna, Santuario del Sacro Cuore, ore 8 del 6 settembre 2015

 

Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

 

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,31-37

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

 

Apriti, Effatà.

Questa parola è stata proclamata su ciascuno di noi il giorno del nostro santo Battesimo.

La prima lettura del Profeta Isaia, ci parla della nuova creazione.

Quando Dio interviene, crea fa nuove tutte le cose.

Allora in mezzo alle tribolazioni che tutti viviamo, i profeti dell’Antico Testamento, trovano come segno evidente che finalmente Dio rientra nella storia: la guarigione dei malati, i muti che parlano, i sordi che sentono, i lebbrosi che vengono mondati, lo zoppo che salta come una cerva, quasi a dire: solo Dio può ridare a questa povera umanità così provata da tante cose, da tanti dolori, morte, incomprensioni e nel caso nostro del Vangelo di oggi, dal non sapere ascoltare gli altri, dal non essere capace di comunicare con gli altri.

Uno dei drammi peggiori della nostra società di oggi è l’incomunicabilità, il fatto che ognuno di noi sta vivendo individualmente, una società disintegrata. Disintegrata la famiglia, disintegrati i gruppi, le amicizie, tutto riportato a un individualismo esasperato che diventa patologia, diventa incapacità di comunione, di relazione, di crescita.

 

Allora ben interviene questo meraviglioso brano del Santo Vangelo che racconta solo Marco, chissà perché gli altri evangelisti non lo hanno riportato, ma Marco lo racconta con molta motivazione, ci vuole far capire qual è la relazione tra Gesù e noi. Una relazione che inizia ancor prima del nostro Battesimo ma che poi si prolunga di sacramento in sacramento.

Rileggiamo insieme l’episodio. Dice che Gesù era dal Libano verso la Palestina, quindi Gesù era anche un camminatore formidabile, perché tutto a piedi naturalmente, e mentre si avvicina alla Palestina ed è ancora in una terra pagana, dove non c’è l’annuncio dei profeti dell’Antico Testamento, ci sono popolazioni pagane, la gente però sa che Lui è un guaritore e c’è un sordomuto.

 

Perché un sordomuto? Ci sono alcune malattie invalidanti che rendono impossibile la socialità, una è la lebbra e vi ricordate tanti episodi già raccontati in cui Gesù interviene, perché la lebbra essendo contagiosa obbligava il malato a stare fuori dal convito umano, non doveva neanche avvicinarsi al paese, doveva addirittura avere delle campanelle addosso per segnalare la presenza perché la gente scappasse, e quando Gesù lo guarisce, una volta ne guarisce dieci tutti in un colpo, dice loro: "Andate a presentarvi esattamente all’autorità perché ora siete guariti, potete rientrare" e questo è molto importante.

Ma il sordomuto non è contagioso però, poveretto, non sente e non parla, è chiuso nel suo piccolo mondo è un isolamento come quello che accennavo prima che c’è oggi nella nostra società.

Tanto rumore, tante voci, tanti strumenti di comunicazione ma l’incapacità delle relazioni umane e allora Gesù interviene proprio su questo aspetto, quindi è una guarigione individuale ma è anche sociale, perché nel momento in cui questo comincia di nuovo a sentire e può dialogare con le persone è chiaro che si rimette nel consorzio umano e finalmente comincia a vivere.

 

Allora, dice il Vangelo che glielo portarono e Gesù fa una scelta che al primo momento non è subito comprensibile, lo prende e si isola, si porta porta fuori dalla gente, dal chiasso direi. È bello questo, perché sottolinea il rapporto interpersonale, uno a uno, che Dio vuole con ciascuno di noi.

Siamo qui in questo momento in un gruppo grande che partecipa alla Santa Messa, ma il rapporto del Signore non è generico, non è qualunque. È personale, individuale, in modo che il dialogo che Lui, nel nostro cuore, con la forza del sacramento fa, è un dialogo legato alla mia situazione di oggi, alle mie preoccupazioni.

Perché sono venuto in chiesa stamattina? Per chi voglio pregare? Chi ho nel mio cuore? Quali episodi, che stiamo vivendo anche a livello sociale, porto con me per pregare stamattina?

Gesù interviene personalmente, prende questa persona e poi fa alcune cose belle, significative.

La prima: alza gli occhi al cielo. Il dialogo profondo fra Lui e il Padre, la sorgente della vita.

La presenza di Cristo nella nostra storia in collegamento assolutamente diretto e forte con Dio Padre.

Poi emette un gemito, - l’unica volta che il Vangelo dice che Gesù emette questo gemito - e cosa vuol dire?

Oso una mia interpretazione, oso dire che Gesù il quel momento si è fatto carico del dolore dell’umanità, di tutti i nostri problemi.

È proprio questo desiderio di liberarci da ogni male, di renderci veramente capaci di quel sogno bellissimo che Dio ha pensato fin dall’eternità per fare di tutti noi - e lo farà, - figli del Padre, fratelli di Cristo, inondati dall’amore dello Spirito Santo, per vivere per sempre nella gioia.

Quando verrà questo momento?

Anche nella Santa Messa c’è una preghiera, che io cerco sempre di sottolineare quando, dopo la consacrazione, poco prima del Padre nostro, il sacerdote dice: "In attesa che venga la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo".  Ecco questo desiderio davvero di pienezza di vita.

 

Poi Gesù compie due gesti nei confronti di questo uomo che sono stati compiuti, spero, nel giorno del nostro Battesimo.

Con le sue dita tocca le orecchie di quel malato. Questo contatto, tenetelo presente, in Marco sempre Gesù tocca, tocca il lebbroso, pericoloso, è contagioso, no Gesù lo tocca; la suocera di Pietro, la prende per mano.

C’è il nostro contatto con Cristo in questo momento: la sua parola è la mano di Cristo che entra nel nostro orecchio, noi che siamo qui stamattina a sentirla.

Tra poco la Comunione: è il contatto del corpo e sangue di Cristo con il nostro corpo, quindi contatto fisico, segno forte, sacramentale della presenza di Dio nella persona di Gesù che vuole veramente cambiare la nostra vita.

 

E poi un gesto ancora più intimo, prende la sua saliva e tocca la lingua del muto.

Questo è un gesto che le mamme fanno con i loro bambini molte volte, gli innamorati fra di loro nel bacio.

È un’intimità, ma è anche direi il passaggio di una vitalità che vorrei che entrasse dentro di te.

E da quel momento, quell’uomo che prima non poteva ascoltare, non poteva parlare, finalmente è liberato da questo ostacolo, e diventa capace di ascoltare e di parlare.

 

Vedete allora che Marco, nel raccontarci questo episodio, sì è interessato alla guarigione di quella persona - di cui però non sappiamo il nome,  niente - ma è interessato a farci capire che questo è il modo che ha Gesù di agire su ciascuno di noi.

Allora guardate il rito del sacramento del Battesimo che la Chiesa primitiva ha inventato.

Arrivavano i pagani e hanno fatto quasi un itinerario, che potesse arrivare davvero a incontrare la pienezza della vita.

All’inizio  della Quaresima i catecumeni venivano accolti e si insegnava loro il segno della croce.

Una settimana dopo veniva consegnato loro il Credo: dovevano studiarselo, impararlo, capirlo.

Un’altra settimana dopo gli veniva consegnato il Padre nostro: impara a pregare, a parlare con Dio che è tuo papà.

Ma quando poi arrivava la notte di Pasqua, l’acqua, che univa e che ha unito anche noi nel nostro Battesimo alla morte, alla sepoltura di Cristo, per poi risorgere con Lui.

Allora il segno dell’olio che ci ha consacrati per diventare davvero come direi la bellezza, la pienezza di vita, che Gesù risorto ha portato per ciascuno di noi.

E subito dopo ricorderete la consegna della luce, dal cero pasquale, la candela che porta in casa la luce, Cristo che è luce.

Ma subito dopo il sacerdote, ancora oggi, tocca le orecchie del bimbo che battezza, tocca le labbra non più con la saliva, per i motivi igienici che noi tutti possiamo comprendere, ma ripete esattamente questi gesti che ci fanno capire qual è l’atteggiamento che Dio, per mezzo di Cristo ha con ciascuno di noi.

 

Ci vuole abilitare, ci vuole rendere capaci di entrare davvero da protagonisti, con tutte le potenzialità, in una comunità.

Non è solo un fatto individuale il dare a te la capacità di ascoltare o di parlare, ma è proprio l’idea che vuole che noi entriamo all’ascolto della Sua parola.

La Sua parola che si manifesta certo nella proclamazione del Vangelo, della Bibbia.

Ma la Sua parola si manifesta, io direi soprattutto, nell’incontro con i fratelli.

Ricordate quante volte Gesù ci ha detto che quando facciamo qualcosa per il nostro fratello, Lui la ritiene fatta a se stesso.

Allora nel momento in cui nel mio condominio, magari addirittura sul pianerottolo dove io abito, sento non tanto con l’orecchio materiale, ma mi rendo conto che c’è un problema, una situazione difficile, una famiglia in crisi, persone che hanno bisogno di conforto per la loro malattia, per la loro debolezza e tappo le orecchie e faccio finta di non sapere niente io ritorno all’indietro a diventare sordo e muto.

 

Allora Gesù vuole davvero, nel suo impegno nei nostri confronti, renderci capaci di socialità, di ascoltare davvero le voci che ci circondano, i gridi di aiuto che arrivano al nostro cuore, più che all’orecchio materiale e ci vuole rendere capaci di rispondere a questo grido, proclamando con gioia che essendo stati raggiunti dall’amore gratuito del Signore, diventiamo anche noi capaci di amore gratuito per i fratelli.

Allora la guarigione del sordomuto è la guarigione di ciascuno di noi, nel momento in cui lasciamo entrare davvero la forza della parola, l’esempio della vita di Gesù.

Ricordate il Vangelo delle domeniche scorse: quando noi assimiliamo davvero la persona di Gesù, mangiamo Lui, è pane che ci nutre per trasformare la nostra vita in Lui, quando noi diventiamo, come Gesù, capaci davvero di gemere davanti a Dio Padre, di invocare il Suo intervento, per aiutare le persone che sono intorno a noi.

 

Allora la guarigione del sordomuto è il regalo più bello che il Signore ci ha fatto nel nostro Battesimo, è il regalo che continua a farci in ogni sacramento, è il regalo che questa mattina sta facendo per ciascuno di noi, per renderci capaci di ascoltarLo, di incontrarLo, di vivere la Sua vita e poi - Dio lo voglia - di proclamare la nostra fede, di manifestarla con i segni, con l’amore, con la solidarietà, con la carità.

Ma anche qui in questa bella assemblea domenicale, proclamarla con la voce, che la nostra voce non sia un flebile grido di persone che non hanno il fiato per parlare.

A volte davvero la preghiera diventa qualche cosa che è appena appena ascoltabile; io penso a quel momento molto bello - che sto ribadendo tutte le domeniche - quando il sacerdote al momento della Comunione alza davanti a voi il corpo di Cristo e dice solennemente, in faccia a voi, individualmente, ad uno ad uno, "Il corpo di Cristo".

E lì dovrebbe esplodere dal mio cuore il mio "Amen", "ci credo Signore", credo davvero che vengo a  fare comunione con Te.

Sentitela questa trasformazione che il Signore vuol fare per ciascuno di noi.

 

Il Vangelo termina dicendo che la gente attorno, quando ha visto questa scena, ha applaudito e diceva: - parole testuali dette dal Vangelo - "Ha fatto bene ogni cosa".

Ma questa frase l’abbiamo già sentita nella Genesi, quando Dio ha creato giorno per giorno tutte le cose, ogni volta c’è la frase: vide che tutto era buono.

Allora Gesù è il nuovo creatore di cui noi non possiamo fare a meno.

È Lui, veramente, colui che ricrea la mia vita, che mi rende capace, mi abilita a diventare figlio di questo Padre, fratello di tutti noi, amici fra di noi, solidali tra di noi.

Mi rende capace di diventare la comunità, la sposa, la chiesa di cui Lui è veramente innamorato e a cui profonde continuamente tutta la forza del suo amore.

 

Allora concludiamo anche noi continuando l’Eucarestia e dicendogli  davvero: "Hai fatto bene ogni cosa, di te mi fido, a te affido la mia vita e, ti prego, guarisci la sordità che tante volte mi rende incapace di essere partecipe ai problemi dei fratelli e delle sorelle. Guarisci il mio mutismo che non mi fa pregare, non mi permette di rivolgermi a Te, di ringraziarTi.

Chiediamolo per noi e per tutto il mondo.                                   

Omelia della XXIII domencia per anno B 30_08_2015 Effat Apriti.docx