DON RUA, ESPRESSIONE E SVILUPPO DELLA FEDELTÀ A D. BOSCO

di Francesco Motto


INTRODUZIONE
Succedendo come Rettor Maggiore a don Bosco nel 1888 don Michele Rua aveva davanti a sé tre possibilità:
* non essere all’altezza del fondatore, e quindi far regredire la società salesiana
* mantenere esattamente le posizioni raggiunte, lasciare più o meno le cose come stavano
* sviluppare la società salesiana, seguendo il trend positivo impresso da don Bosco
Alla prova dei fatti, alla prova inoppugnabile dei numeri, don Rua pur sentendosi vincolato dall’invito prudenziale di don Bosco a non avviare nuove fondazioni subito dopo la sua morte, invito ribaditogli anche dal papa Leone XIII, non poté resistere alle numerose richieste di fondazioni e dunque perseguì la terza possibilità, ossia sviluppò ulteriormente la società salesiana secondo il movimento impressole da don Bosco.
Infatti alla morte del fondatore la Società salesiana contava 58 case, sparse in 9 nazioni; Don Rua le portò a 384 e le estese in altri 28 paesi di 4 continenti, con una tipologia di opere già note (oratori, scuole umanistiche, di arte e mestieri, parrocchie, missioni, case per vocazioni tardive) con opere inedite di apostolato, quali colonie agricole, esternati, pensionati, doposcuola, presenze assistenziali, lebbrosari... Le poche centinaia di salesiani del 1888 raggiunsero i quattro mila. Lo stesso si dica dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che nel 1910 contavano 2716 suore, 320 case sparse in 22 paesi. I Cooperatori dal canto loro raggiunsero i 300 mila.
L’entusiasmo per Don Bosco e la sua opera di rigenerazione della società attraverso l’educazione e la formazione dei giovani ha richiamato e galvanizzato schiere di vocazioni maschili e femminili; l’appoggio sincero dato a don Rua dai salesiani della prima ora che, cresciuti con lui all’Oratorio, avevano condiviso le responsabilità di governo e di animazione della società salesiana, hanno avviato a cavallo del secolo quello che un giorno papa Paolo VI avrebbe definito “il fenomeno salesiano.
Don Rua era stato fedele allievo di don Bosco per una decina di anni e poi per oltre 20 (dal 1865 al 1888) fedele braccio destro. Volle essergli fedele ancor più da suo successore. Lo disse e scrisse per tutta la famiglia salesiana a due mesi dalla sua entrata in carica. Si impegnava personalmente e chiedeva che tutti si impegnassero nella fedeltà a don Bosco secondo tre particolari prospettive:
1. fedeltà come sostegno e a suo tempo sviluppo delle opere da lui iniziate
2. fedeltà come seguire fedelmente i metodi da lui praticati ed insegnati,
3. fedeltà nel cercare di imitare il modello don Bosco nel modo di parlare e di operare .

Presenterò questa fedeltà procedendo in modo inverso, ossia dal punto tre al primo punto uno, in quanto questo è il più importante ed appariscente e su di esso mi soffermerò più lungo.


1. Fedeltà nel cercare di imitare il modello don Bosco nel modo di parlare e di operare, ma con una propria personalità


Il terzo aspetto -  imitare il modello don Bosco nel modo di parlare (ma anche di operar) - - è piuttosto facile da dimostrare. Durante il suo lungo Rettorato, le testimonianze, le cronache delle case e dei suoi viaggi, i discorsi e gli omaggi a lui indirizzati in tali occasioni, gli articoli scritti su di lui lo hanno sempre presentato come “un altro don Bosco”, “il ritratto di don Bosco” “una reliquia vivente di Don Bosco”. Insomma una specie di clone o fotocopia di don Bosco così precisa che a questo punto ha rischiato di far scomparire la sua personalità, la sua azione che invece è ben distinta da quella di don Bosco.
Diverso anzitutto infatti il contesto storico in cui è vissuto (nato e morto 22 anni dopo, il famoso 48 era passato da 40 anni, Cavour Garibaldi, Mazzini, Vittorio Em. TI, Pio IX erano morti, anche se rimaneva aperta la “questione romana”). Erano anni di crescita demografica, di decollo industriale di molti paesi con la conseguente richiesta di mano d’opera specializzata, di’aumento del bisogno d’istruzione di base, di crisi economiche che incentivano l’emigrazione, di incapacità dei partiti politici, delle istituzioni statali di rispondere alle esigenze del mondo adolescenziale e giovanile.
Diverse tante altre situazioni: origini familiari, costituzione fisica, temperamento, portamento, formazione intellettuale, tipo di intelligenza, modo di essere, di agire, di leggere i segni del tempo, diverse l’educazione ricevuta, la formazione spirituale e sacerdotale, le esperienze di vita e di conseguenze diverso sarebbe stato il suo modo di governare una congregazione in rapido sviluppo ecc.
Insomma: don Rua è stato don Rua, non don Bosco, anche se ha fatto di tutto e è riuscito a imitare il modello. E’ stato “un altro don Bosco”, ma anche “altro” da don Bosco.


2. Seguì fedelmente i metodi praticati ed insegnati da don Bosco, ma anche sviluppandoli ed arricchendoli


a. Quanto alla seconda prospettiva - seguire fedelmente i metodi praticati ed insegnati da don Bosco - - don Rua fu ben consapevole anzitutto del valore dell’eredità pedagogica per aver vissuto accanto a lui per decine di anni. Intese dunque conservarla, sostenerla e diffonderla, senza però con ciò pregiudicare forme di innovazione, rese necessarie dalla legislazione dell’epoca e dai bisogni del nuovo secolo. Significativo nel 1910 il famoso motto del consigliere professionale generale, don Giuseppe Bertello: “con i tempi e con Don Bosco”. Del “sistema preventivo” don Rua si fece promotore in tutti i modi, ma ne sviluppò e approfondì virtualità ed intuizioni. Del metodo mise in evidenza gli aspetti educativi e disciplinari (assistenza come preservazione e protezione) e contro “la piaga del secolo” (l’educazione senza religione) ribadì gli aspetti religiosi e morali, raccomandò la sorveglianza sulle “letture pericolose” per la castità giovanile, rimandando ai mezzi sacramentali piuttosto che a discutibili orientamenti che si definivano “moderni”.
b. Altrettanto don Rua fece sotto il profilo spirituale, con un’applicazione forse pù rigorosa ed estesa, corrispondente alla sua naturale predisposizione e formazione.
Se sul piano teo1oico-dogmatico infatti don Rua si tenne estraneo a innovative convinzioni scientifiche acquisite dall’esegesi e dal metodo critico-storico applicato alle origini cristiane - il famoso modernismo - , sul versante teologico fu invece favorevole ad un benignismo che non compromettesse l’ineludibile ascetica del cristiano in genere e del religioso in particolare. Dove appunto maggiormente si evidenziò la personalità spirituale di don Rua fu la sua preferenza per l’ascesi . Essa che sembra costituire un strappo alla maggiore affabilità e flessibilità di don Bosco, viene poi “recuperata” al genuino spirito salesiano dalla necessità della “santa allegria; come dono di Dio. Non per nulla don Rua riuscì a coniugare l’innata austerità con una paternità piena di delicatezze, tanto da essere definito già in vita non solo “un santo” ma “un sovrano della bontà”.
Difensore di una spiritualità - o di una religiosità, per dirla con Pietro Stella - di una forma di vita spirituale semplice e quotidiana, le pratiche di pietà da lui promosse e sostenute riflettono, sull’esempio di don Bosco, l’essenzialità dell’ordinario vivere cristiano fondato sul rapporto personale con Dio e si congiungono con le più diffuse devozioni dell’ottocento italiano ed europeo.
Primeggia quella del Sacro Cuore, in cui don Rua - che il 31 dicembre del 1900 consacrò la Congregazihea1esiana al Sacro Cuore di Gesù - e tralasciando di approfondire il tema sotto il profilo teologico, fa emergere spunti di spiritualità esperienziale che si realizzano poi in determinate pratiche per onorare il Sacro Cuore. Anche della devozione a Maria Ausiliatrice, accennato appena alle alte vette del dogma cattolico mariano la Madonna è immediatamente presentata come l’intermediatrice pratica di una moltitudine di grazie e capace di fare “miracoli” per i suoi devoti perseveranti. Nel 1903 don Rua fece solennemente incoronare il quadro e la statua di Maria Ausiliatrice a Valdocco, cui abbinò Maria Liberatrice di Roma allorché si inaugurò n 1909 il suo nuovo tempio, con tutte le opere annesse, per redimere una popolosa periferia facile preda di un socialismo con forti venature anticlericali.
Le minuziose e precise regole di comportamento ascetico da lui dati, i suoi consigli tanto scheletrici e quasi freddi tanto da sembrare burocratici - ma in realtà frammenti essenziali di norme sapienziali pedagogiche sulla traccia delle intuizioni del Sistema preventivo - hanno prodotto dei santi, sia fra gli educatoci - don Augusto Czartoryski (1858-1893), e madre Maddalena Morano (1847-1908) - che fra gli educandi: Ceferino Namuncurà (1886-1905) e Laura Vicuña (1891-1904).

 

3. Fedeltà come sostegno e a suo tempo sviluppo delle opere da lui iniziate


A. Antiche e nuove forme di governo e di animazione


Nonostante invito e decisione di non procedere all’apertura di nuove opere, onde consolidare quelle esistenti e preparare adeguatamente il personale, disse di sì a sempre nuove fondazioni perché richieste dal Papa, da capi di,Stato, da autorità religiose.. La società salesiana dell’epoca era infatti ancora agli  albori, le strutture di formazione era ancora aleatorie, volontaristiche e le strutture di governo, costituite in tempi di poche case e poche decine di membri, erano da adeguare ad una società religiosa che stava rapidamente diventando una multinazionale di istituti educativi.
Si pose così l’indita sfida di dover conciliare la centralizzazione del governo per determinate decisioni di competenza del Capitolo Generale e al Consiglio Superiore, cui poter riservare l’ultima parola e l’altrettanta necessaria decentralizzazione del medesimo governo attraverso la creazione d’ispettori ispettrici rappresentanti del Superiore e della Superiora generale. Si trattava cioè di regolarizzare le strutture di governo centrale con la definizione dei diritti e doveri delle autorità subalterne.

a.    Don Rua lo fece anzitutto attraverso le decisioni prese da parte dei sei Capitoli Generali da lui preparatati, convocazione, presieduti e soprattutto verificati nella messa in pratica delle decisioni prese. La società salesiana acquistò così, grazie anche al talento organizzativo di don Rua, la struttura giuridica delle grandi congregazioni religiose: si approvarono regolamenti delle diverse attività e uffici, si trattarono tutti i grandi temi del governo e dell’animazione della società alla luce del “così faceva don Bosco” e del suo insegnamento.

b.    In secondo luogo notevole strumento di governo e di animazione fu per don Rua la corrispondenza. Lettere di ogni genere a tutti in cui non fece proclami solenni né diede direttive particolarmente alte, se non quelle suggerite dalla tradizione salesiana e dalla comune fede cristiana. Attraverso le lettere creò un profondo rapporto e un coinvolgimento molto stretto e personale con i corrispondenti atto a favorire unità e solidarietà fra tutti.

c.     Infine fece affidamento su decine di visite alle case d’Italia e su una dozzina di lunghi viaggi dalla Spagna all’Ucraina, dall’Inghilterra alla Terra Santa e al Nord Africa. è stato calcolato che ha percorso complessivamente 100 mila km, oltre due volte il giro del mondo, per lo più negli scomodi treni dell’epoca, spesso in terza classe. Fu assente da Torino per almeno 4 anni.
Don Rua considerò i viaggi uno strumento utile per conservare fra i salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice lo spirito di don Bosco, oltre a trattare affari relativi alla società salesiana, inaugurare case, approvare progetti verificare l’applicazione delle disposizioni capitolari, animare i Cooperatori, chiedere sussidi economici ai benefattori. Un’attività faticosissima, ma che ritenne di dover sostenere per la “gloria di Dio e salvezza delle anime”.
Don Rua non visitò l’America ma allargò gli orizzonti con l’apertura di difficilissime missioni tra gli indigeni Bororo del Mato Grosso in Brasile e gli Shuar dell’Ecuador: vi mandò poi come suo rappresentante e visitatore spirituale don Paolo Albera, futuro suo successore.
Come tutti i santi, non ebbe vita facile. La Santa Sede due volle intervenne per obbligarlo a modificare quello che riteneva un’eredità di don Bosco da conservare gelosamente, vale a dire la prassi dei direttori salesiani di essere confessori dei loro confratelli ed alunni e l’unione giuridico-economica delle Figlie di Maria Ausiliatrice ai Salesiani. Qualche salesiano polacco, ora beato, qualche ispettore di Francia osarono mettere in dubbio la sua fedeltà a don Bosco, al suo spirito e alle costituzioni: offesa più grave non poteva essere fatta a don Rua, che, appena Rettor Maggiore, si era pubblicamente impegnato a seguire decisamente le orme del fondatore e ad ispirarsi a lui in ogni occasione. Alla massoneria trionfante e all’anticlericalismo aggressivo di inizio secolo XX non parve vero di poter gridare allo scandalo in un collegio salesiano della Liguria per fatti non successi e Don Rua soffrì le pene dell’inferno. Per non dire delle catastrofi naturali, tanto in Italia che all’estero, con morti e danni materiali ingentissimi, e delle “persecuzioni religiose” in Europa ed America Latina, con tragiche conseguenze ad intra e ad extra della congregazione. Ovviamente a Don Rua non  mancarono consolazioni, prima fra tutte il decreto di venerabilità di Don Bosco nel 1907.


B. Antiche e nuove forme di apostolato fra i giovani


a. mondo del lavoro

 
Se l’orfano di padre e contadino don Bosco si era interessato del mondo del lavoro artigianale dei suoi anni, l’orfano di padre operaio e cittadino Michele Rua si interessò molto del mondo del lavoro: gli anni a cavallo del secolo XX erano quelli del fenomeno dell’industrializzazione che acuì la cosiddetta “questione sociale”, alle cui soluzioni radicali o utopistiche proposte dalla diffusa dottrina socialista e sindacale dell’epoca inaccettabili alla Chiesa, che nel 1891 rispose con l’enciclica Rerum Novarum. Essa ebbe vasta eco nel mondo cattolico, dava grande importanza alla questione operaia; la stessa legislazione civile spingeva nella direzione di una formazione più completa del lavoratore.
Ancora vivente don Bosco, i salesiani si erano posti il problema di riformare i laboratori fondati nei decenni precedenti, trasformandoli in vere e proprie scuole professionali, capaci non solo di insegnare rapidamente un mestiere, ma anche di offrire una più ampia cultura generale e un’acquisizione di competenze necessarie a fasi successive della produzione industriale. Proprio sulla spinta dell’enciclica, i salesiani cominciano così a dividere il tempo scuola in ore dedicate alla formazione culturale e altre consacrate all’apprendimento del lavoro, inseriscono nei loro programmi un programma di “Sociologia” in cui si dà spazio a temi come i diritti del lavoratore, lo sciopero, i caratteri e gli errori del capitalismo e del socialismo, e altri
argomenti legati alla “questione sociale”.Alla morte di don Bosco tali scuole erano 14, nel 1910 già 53.
Non mancarono attriti. Nel 1902 fu approvata la legge che proibiva il lavoro minorile. Ne seguì anche una polemica contro i salesiani, accusati di gestire “opifici industriali” anziché scuole, cioè di sfruttare il lavoro dei propri studenti, in quanto i lavori eseguiti nella “cittadella” di Valdocco in parte erano immessi nel mercato e in parte servivano alle esigenze della comunità educativa. I libri stampati nella tipografia erano, ad esempio, i libri stessi che utilizzavano gli studenti dell’Oratorio, tra cui moltissimi erano i titoli usciti dalla penna stessa di don Bosco. La polemica, per quanto capziosa e anche ricorrente, spinse ulteriormente i salesiani nel primo decennio del Novecento a orientarsi sempre più verso una riforma dei programmi. Comunque, al di là di qualche polemica locale e isolata, le opere dei salesiani in genere riscuotevano più apprezzamenti che critiche. Se nell’esposizione italiana di Torino del 1884, lo stand dei laboratori di don Bosco aveva destato impressione per la professionalità dimostrata, in quella del 1910, un giornalista della Stampa, certamente non tenero con le opere cattoliche, scrisse : «Noi, come ogni visitatore equanime e sincero, potremo trarre conclusioni ben confortate da speranze di un risveglio intelligente e razionale delle nostre maestranze, quando i sistemi adottati in queste Scuole e i loro principi pratici vengano attuati su larga scala nell’educazione ed istruzione operaia».
Era insomma un invito allo Stato a prendere esempio dal modello salesiano. La legge del 1912, con cui lo Stato regolamentò per la prima volta l’insegnamento scolastico professionale, recepì molto dall’esperienza salesiana. La legge Casati del 1859 non aveva neppure nominato le scuole di arti e mestieri e che lo Stato, per tutto l’Ottocento, non aveva mai ritenuto di doversene occupare seriamente.
Don Rua incentivò poi la creazione di  circoli oratoriani per giovani più grandi da inserire, cristianamente attrezzati ne1 mondo del 1avoro in crescente laicizzazione, promosse i convitti per le operaie presso le Figlie di Maria Ausiliatrice. Società operaie lo onorarono come loro membro ed in alcuni congressi cattolici si elevarono voci di grande apprezzamento per la sua persona e la congregazione salesiana.


b. Il mondo Oratoriano


La fedeltà creativa di don Rua si manifestò anche nel grande rilancio degli , oratori, alla sua morte si ebbero in Italia una novantina di Oratori festivi, distribuiti disomogeneamente in tutte le regioni, per lo più accanto ad altre case salesiane. In Europa dai 29 oratori presenti alla morte di don Bosco, si passò ai 54 nel 1895 a 131 nel 1908. In America del Sud, si passa dai 10 oratori nel 1888 ai 69 nel 1908.
L’immensa fioritura di opere a carattere sociale, (orfanotrofi, collegi-convitti, scuole professionali e agricole, parrocchie di periferie), prima dei quali l’Oratorio, dovettero fare affidamento, donboschianamente, su coraggio ed intraprendenza, in quanto non mancarono difficoltà, specie nella fase di avvio, per il cumulo di problemi pratici da risolvere, sovente di mezzi (alloggi di fortuna, ambienti inadatti, disponibilità economica ridotta all’osso) o inaspettate resistenze da parte del clero locale o previste, vivaci opposizioni degli anti-clericali. Il che non significò però carenza di successo presso la gioventù dei ceti popolari, se è vero che gli Oratori riuscirono ad aggregare fra iscritti e frequentanti, chi decine, chi centinaia e in qualche caso un migliaio di soggetti, con tutto quello che ciò significava in termini di organizzazione di una normale giornata festiva, che non si voleva lasciare priva di interessi in nessun momento.

a.    Per tutto il lungo rettorato non smentì mai il suo interesse per l’Oratorio. Lo fece anzitutto con le lettere ai salesiani, in metà delle quali trovò il modo non solo di richiamare la fedeltà alla tradizione salesiana circa obiettivi, metodi, strumenti, condizioni di un Oratorio, ma anche da ribadire alcune idee che l’evoluzione dei tempi sembrava mettere in crisi, come ad esempio la necessità che gli aspetti ludici e artistici (gioco, musica teatro) pur importantissimi, non assurgessero a fine dell’Oratorio, rimanendo semplici mezzi. In ciò gli venne in aiuto la pubblicazione del Catechismo di Pio X con tutte le sue pratiche implicanze a livello di catechismo diffusione di libri e fascicoli apologetici, con  cui raggiungere anche le famiglie degli Oratoriani. Inoltre dovendo confrontarsi con le problematiche del mondo del lavoro, promosse una prima ampia evoluzione della vita e della prassi dell’Oratorio festivo con interessanti aperture alle nuove problematiche sociali, quali l’aggregazione dei giovani Oratoriani ai Circoli operai cattolici e alla Cassa di Risparmio, la fondazione di Circoli per i giovani dai 16 ai 30 anni, quale sbocco delle tradizionali associazioni e compagnie per ragazzi di età inferiore.

b.     Nel corso dei 6 Capitoli Generali non mancò quasi mai una riflessione, un dibattito, un voto, una deliberazione a proposito dell’Oratorio festivo in quanto la fede e la moralità dei giovani delle periferie cittadine ma anche i  loro diritti retributivi e assicurativi erano messi a dura prova dalla vita nelle officine e negli opifici. Si deliberò, di tenere periodicamente conferenze di indirizzo sociale sopra il capitale,il lavoro, la mercede, il riposo festivo, gli scioperi, il risparmio, la proprietà ecc., evitando sempre le suscettibilità politiche, divulgando periodici e libretti adeguati allo scopo e regalando come premi libretti delle pubbliche casse di risparmio. Il direttore dell’Oratorio avrebbe dovuto curare la collocazione degli allievi presso datori di lavoro in grado di offrire garanzie sotto il profilo morale, rimanendo in contatto con loro per avere informazioni sulla condotta dei giovani lavoratori e coordinando la sua azione con i parroci e le associazioni cattoliche.

c.     Don Rua promosse e partecipò a vari “Congressi nazionali degli Oratori” Oratori festivi e delle Scuole di Religione (1902, 1907, 1909). Frutto del primo, tenutosi a Brescia nel 1900 per iniziativa dei Padri Filippini, fu la costituzione a Torino di un Comitato permanente dei congressi oratoriani (e delle Scuole di religione per gli studenti medi e universitari), comitato presieduto dal salesiano don Stefano Trione, che promosse una serie di altri congressi nel nuovo secolo, con pluralità di voci: sacerdoti, laici, religiosi, religiose, esponenti dei movimenti ecclesiali dell’epoca, sempre con la presidenza onoraria di personalità ecclesiali (cardinali, vescovi) e quella effettiva di don Rua.

Don Rua ne presiedette due, il 2° (Torino 1902) e il 3° (Faenza 1907). Quello di Torino ebbe a riflettere sui maggiori  problemi organizzativi, pedagogici, religiosi, sociali degli oratori, con un’ interessante disamina sul versante femminile, ma lasciò scoperti invece i settori  socio-assistenziali e delle attività ricreative, che invece furono al centro di quello di Faenza, a due anni di distanza dall’enciclica di Pio X, Acerbo nimis, del 15 aprile 1905, con cui il papa sollecitava a predisporre nei giorni festivi un’ora di catechismo per i fanciulli, a erigere tra i laici di ogni parrocchia la Congregazione della dottrina cristiana e a istituire le Scuole di religione per studenti medi e universitari. Interessante oggetto di analisi al congresso faentino la questione dello sport, in costante espansione nell’intero paese, e che agli occhi di molti, dai salesiani in particolari da sempre attenti all’attività ludica, poteva attrarre la gioventù lontana dalla Chiesa. Ormai si andava profilando un modello di Oratorio sempre più aperto e attento alla realtà esterna del paese.
Al IV congresso di Milano (1909) il salesiano don Domenico Finca affrontò il tema del notevole impulso che, col passare degli anni, aveva avuto le principali sezioni ricreative dell’oratorio (ginnastica, filodrammatica, musicale). Se in numerosi Oratori salesiani, già sul finire del secolo, dal gioco si era passati facilmente ai gruppi ginnici,
dalla ginnastica il passo fu relativamente breve verso l’apertura a sport come l’atletica leggera e il calcio in notevole espansione. Analogo discorso svolse il salesiano per le attività espressive, con la filodrammatica che si era andata sempre più consolidandosi, tanto da costituire elemento di costante attrattiva un po’ in tutti gli oratori e con i direttori di Oratorio che cercavano di garantirsi un salone teatro per una recitazione valida sia per l’intrattenimento che per la rilevanza educativa. Banda, fanfara, orchestrina musicale, gruppo corale erano in pieno sviluppo e potevano legittimamente inorgoglirsi dei successi ricevuti in occasione delle feste cui erano chiamati.
Nell’incontro milanese si accennò, per la prima volta, a due problemi, di segno diverso, ma ugualmente destinati a molte discussioni, anche in casa salesiana:
le proiezioni cinematografiche e il rapporto con le associazioni giovanili cattoliche.
In sintesi con il rettorato di don Rua dunque si porta a maggior maturazione e profondità la dimensione, socia1e dell’educazione oratoriana e la presenza nel campo del pre-politico. L’oratorio tende ad estendersi maggiormente “verso la periferia”, grazie anche al settore ricreativo (ginnico-sportivo), alle iniziative socio- culturali, tese a favorire l’inserimento responsabile dei giovani oratoriani nella società, incominciando dal mondo del lavoro. L’influsso oratoriano raggiunge molti ambienti di vita del giovane, dalla famiglia alla scuola, dal quartiere al luogo di lavoro, assumendo così una funzione moralizzatrice e civilizzatrice del territorio. Aumenta l’attenzione alle fasce di età superiori a quelle dell’oratorio donboschiano (7-12), difficili da trattenere una volta doppiato il capo dei sacramenti della iniziazione cristiana.

c. Il mondo dell’emigrazione


La corrente migratoria italiana, iniziata dopo la metà dell’ottocento e proseguita con una parabola ascensionale fino al secondo decennio del novecento, coinvolse oltre 14 milioni di connazionali. L’epoca del rettorato di don Rua corrispose alla stagione della massima emigrazione italiana, per cui in risposta alla crescita e alla direzione delle correnti migratorie, in collaborazione tanto con settori istituzionali della società italiana quanto in sintonia con la linea preventiva-assistenziale del mondo ecclesiastico, don Rua moltiplicò in estensione, iniziative e impiego di risorse umane la solidarietà dei salesiani con gli emigrati

a. La spinta di mons. Scalabrini, che tenne alto l’ideale di una sempre migliore assistenza agli emigrati italiani, si sommò a quella dei salesiani che sentivano sulla propria pelle di sacerdoti, educatori e missionari, la responsabilità di pastori verso quanti, per qualunque motivo, si trovavano sradicati religiosamente e culturalmente dai tradizionali riferimenti dell’identità sociale e religiosa.

b. Del resto don Bosco era stato antesignano dell’apostolato fra gli emigrati dell’America Latina e lo stesso don Rua da ragazzo aveva convissuto a Valdocco con compagni emigrati, da giovane sacerdote li aveva seguiti nella loro crescita e da braccio destro di don Bosco negli anni settanta ed ottanta aveva sofferto sulla propria pelle le problematiche dei missionari salesiani fra gli emigrati soprattutto italiani dell’America Latina.

c.  Si servì del BS che dal febbraio 1902 mensilmente divulgava mensilmente utili informazioni relative all’attività salesiana, alle condizioni materiali e spirituali degli emigrati e alla legislazione migratoria dei paesi d’arrivo. Sollecitò una riflessione sul fenomeno emigratorio nel corso di tutti i Capitoli Generali e nei Congressi nazionali ed internazionali dei Cooperatori salesiani che si celebravano in quegli anni, ad iniziare dal primo e più famoso, quello tenutosi a Bologna nel 1895 che aveva avanzato ai cooperatori proposte operative per l’assistenza degli emigrati nei porti di imbarco, nei luoghi di passaggio e di residenza. Il Congresso successivo (Buenos Aires, 1900) definì meglio la linea d’azione. Nel corso del terzo Congresso (Torino 1903) mons. Cagliero ricordò gli oltre 100 mila italiani assistiti dai salesiani a Buenos Aires, quelli altrettanto numerosi di Rosario di Santa Fé ed i più di 300.000 di San Paolo.

d. Dal punto di vista geografico si può affermare che nel primo quindicennio (1889-1904) considerato in Europa si assistettero in tutti i modi loro possibili gli italiani in  Svizzera, Germania,Belgio a Liegi; i salesiani eressero opere assistenziali in Nord Africa in Tunisia, Egitto e sud Africa, in Asia, Gerusalemme, Smirne e Costantinopoli. Massiccia l’azione in Argentina e Brasile, oltre a 5 parrocchie negli USA. Per uno sguardo sintetico dell’America il Quadro Statistico deg1i emigrati italiani assistiti ed istruiti nelle due Americhe [...] durantel’anno 1904 ricorda dai 1050 missionari salesiani presenti in 110 case e 700 Figlie di Maria Ausiliatrice sparse in 60 case, oltre 450 mila gli assistiti, di cui 40 mila oratoriani e 50 mila alunni interni ed esterni.

e. Un forte rilancio si ebbe nel 1904 con la creazione di una Commissione salesiana dell’emigrazione sorta nel corso del Capitolo Generale X, per cui se la massa della popolazione assistita era sempre di circa 400/450.000 persone (150 mila in Argentina, 100 mila in Brasile, 60 mila in Uruguay, 70 mila negli Usa e 35 mila in Europa) e gli allievi superavano la ragguardevolissima quota di oltre 8.000, divisi in un centinaio di opere (83 in America, 11 in Europa, 6 in Asia e 2 in Africa), otto delle quali con oltre 200 alunni e 27 con oltre 100 alunni.

f. Un ulteriore passo avanti si ebbe con la partecipazione alla Federazione
Cattolica Italica Gens
(1909), emanazione dell’Associazione Nazionale Missionari
Italiani, che in meno di un anno poteva registrare 66 Segretariati salesiani: 63 in
America, 2 in africa e 1 in Asia.
Don Rua moriva nell’aprile 1910 e al momento del cambio di guardia ai vertici della società salesiana si può affermare che tanto la stagione migratoria italiana quanto l’azione salesiana pro emigrati erano alla loro massima espressione.
La multiforme assistenza salesiana a favore degli immigrati si è declinata secondo quattro particolari tipologie.

- Prima di tutto la dimensione esplicitamente religiosa per la quale i missionari salesiani avevano lasciato il loro paese. In essa rientrano le parrocchie e le cappellanie giornaliere e festive in chiese e cappelle (spesso costruite ex novo), l’amministrazione dei sacramenti, le celebrazioni liturgiche e paraliturgiche, la catechesi parrocchiale e per gruppi, l’assistenza agli infermi in famiglia e negli ospedali, la cura spirituale dei detenuti, il collocamento di anziani nei ricoveri e di orfani negli istituti di beneficenza, la distribuzione di generi di prima necessità e di sussidi ai più poveri, la promozione di gabinetti di lettura e di biblioteche circolanti. Dalla chiesa, cappella o collegio salesiano si diramavano poi le “missioni” verso le colonie sprovviste di regolare assistenza tanto nell’Argentina centro meridionale quanto nel Brasile, in Uruguay, negli Stati Uniti e nell’Europa transalpina.

- In secondo luogo i salesiani si impegnarono molto in ambito sociale, con l’accoglienza specie notturna degli emigrati di passaggio nelle città portuali di partenza e arrivo, l’assistenza ai circoli operai cattolici, la promozione e gestione delle Società di mutuo soccorso e dei Segretariati del popolo (spesso più di fatto che di nome).

- In terzo luogo i salesiani promossero e diffusero la  stampa cattolica. Essa si rivelò uno dei mezzi più moderni ed efficaci per informare ed educare masse popolari vicine e lontane, per ovviare ai problemi della lingua, per difendere la religione cattolica soprattutto in risposta al giornalismo anticlericale che in abbondanza circolava nelle comunità italiane. Il settimanale Cristoforo Colombo in Argentina,il settimanale L ‘Italiano in America, edito a New York, e successivamente la Vita Nuova di Cordoba, Flores del Campo di Viedma, Il Messaggero di Don Bosco di New York, La Stella di Liegi, La Squilla di San Paolo, L’Armonia degli Italiani in Sud Africa di Cape Town,
- Quello della buona stampa fu uno degli ambiti di maggior interesse di don Rua. Durante il rettorato di don Rua furono oltre una cinquantina i periodici formativi, informativi, propagandistici, scolastici, settimanali e mensili.

- Infine i salesiani dell’epoca, in perfetta corrispondenza con le finalità educative della Congregazione, coltivarono ancor più decisamente, oltre ovviamente gli Oratori, con le classiche attività di formazione e tempo libero, l’istruzione scolastica declinata in mille maniere: asili per infanti, scuola elementare diurna per minori ed adulti (uomini e donne), di arti e mestieri, di agricoltura, tecnico-commerciale, di religione in scuole statali. Scuole, anche se informali, erano poi quelle di musica strumentale e vocale, di recitazione, di formazione sociale, di taglio e cucito.

d. mondo delle missioni


In 22 anni si ebbero ben 31 spedizioni missionarie e si lanciarono nuove Missioni tra i Kivari in Ecuador e tra i Bororo nel Brasile. Lo stesso si dica dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che nel 1910 contavano 2716 suore, 320 case sparse in 22 paesi. I Cooperatori dal canto loro raggiunsero i 300 mila. Nel 1906 i missionari salesiani raggiunsero l’India e la Cina, poco dopo il Mozambico. In Sud Africa vi erano già da una decina di anni.


e. mondo della scuola umanistica...



C. Forze in campo, oltre ai salesiani


a. Figlie di Maria Ausiliatrice


In un momento di enorme sviluppo internazionale dell’Istituto delle FMA don Rua con incontri personali ela  nutritissima corrispondenza offrì orientamenti e consigli r ogni esigenza e richiesta: trattative per apertura e chiusura di case, nomina di superiore capaci di gestire la fase di insediamento ed il primo sviluppo delle opere, definizione di diritti e doveri degli ispettori e direttori salesiani rispetto alle visitatrici, direttrici salesiane e singole Figlie di Maria Ausiliatrice, convocazione, presidenza ed assistenza ai Capitoli Generali, approvazione di elezioni, spedizioni missionarie, trasferimenti di suore, autorizzazione per viaggi e ricevimento di professioni, costruzioni ed ampliamenti edilizi, visite straordinarie in famiglia, permessi.
In tale corrispondenza “d’ufficio” è degna di ammirazione la discrezione di tratto e del linguaggio. Mai imperativo, don Rua abbonda nell’uso dei condizionali (sarebbe conveniente, potreste,penserei, procurerei...), degli esortativi (veda, provi, scriva...), nei suggerimenti liberanti (se poteste, se credete bene, se sapete, se desiderate, se non avete niente in contrario, secondo che crederà conveniente), in forme di cortesia (mi pare possa andar bene, mi rimetto a voi, voi potere meglio di me conoscere...). è attentissimo a rispettare il pensiero e l’autonomia delle suore investite di autorità.
Ovviamente al momento della separazione giuridica delle Figlie di Maria Ausiliatrice dai salesiani, che provocò estrema sofferenza soprattutto alle suore, don Rua non fa che ribadire con forza la sua paternità spirituale: “State tranquilla che non vi abbandoniamo: fate voi altre quello che potete per isbrigarvi dei vostro affari; e quando siete incagliate, scrivete; e noi procureremo sempre di aiutarvi”; “Io sarò sempre padre alle figlie di Maria Ausiliatrice nel disimpegno nella loro missione”.
A tal fine don Rua fa brillare agli occhi delle sue corrispondenti l’alto obiettivo della santità, che a suo giudizio - al seguito di don Bosco, ma sulla scia di San Filippo Neri e di San Francesco di Sales - non consiste in opere straordinarie ed eccezionali, ma nella fedeltà all’ordinario, ossia nell’assolvere con esattezza i propri doveri. Un ideale di santità che si cala nella trama quotidiana intessuta di piccole virtù ordinarie non in gesti eccezionali o fenomeni di misticismo o estasi.
L’itinerario che conduce alla meta è già tracciato: basta imitare Cristo, maestro e modello di tutte le virtù: umiltà, pazienza, povertà, pietà, mansuetudine, rassegnazione, sacrificio, purezza di intenzioni. Vi si aggiungano le virtù naturali buon uso del tempo, del lavoro, della temperanza, della schiettezza con le superiore, della modestia nel tratto e nelle parole.
Va sottolineata la sua capacità di coinvolgimento con le suore che operano sul campo, anche a grandi distanze. Sente con loro parla e opera con loro, è partecipe dei loro problemi e del loro quotidiano faticare. Ciononostante è sobrio nelle sue espressioni, misurato, non lascia eccessivo spazio al sentimento, come forse esse, specialmente se giovani, avrebbero amato. Adotta un lessico familiare, diretto ed “interessante” agli occhi della corrispondente già predisposta a accoglierlo, anche se per noi routinario, in quanto sottoposto all’usura comunicativa determinata dalla necessità di una continua ripetizione degli stessi pensieri.
Don Rua, coinvolto in relazioni personali nella sua duplice identità di padre amoroso e di superiore, riesce a tener bene integrati in sé, per così dire, gli aspetti femminili e maschili. Si dimostra infatti materno, affabile con la destinataria, la guarda con tenerezza, attenzione, fiducia, sente empatia per lei, ha pazienza nell’attendere i tempi di crescita, nel rispetto della natura femminile. Come padre e superiore però non può non usare una certa fermezza. Chissà se da qualche parte aveva letto che la donna, quella del mondo, come quella del chiostro ama che le si parli con autorità! Sentendosi in dovere di mantenere e sviluppare il patrimonio educativo e spirituale ereditato da don Bosco, richiama allora le suore ai doveri, comunica i valori, infonde speranza, aiuta a guardare oltre le difficoltà, sollecita potenzialità e assunzione di responsabilità. Le prepara così, senza saperlo, alla futura gestione in proprio dell’Istituto. Del resto per le superiore non auspicava quella saggezza, quella dolcezza e quella fermezza necessarie a far sante se stesse e le consorelle? Forse è qui uno dei casi in cui è possibile applicare il proverbio orientale: “i figli possono guardare lontano perché hanno le spalle dei padri su cui salire”.


b. I cooperatori salesiani


Particolari sollecitudini don Rua rivolse verso i cooperatori. In una stagione favorevole all’associazionismo i cinque congressi -novità assoluta nella storia salesiana - ad iniziare dal primo e più famoso, quello di Bologna del 1895, segnarono

una svolta nella loro storia in quanto talune manifestazioni di massa divennero momenti fondamentali e culminanti della storia salesiana.
Se don Bosco non aveva amato che le assemblee di persone possibilmente abbienti a cui parlava per ottenere aiuti finanziari per le proprie opere, da esperto amministratore li volle in sincero rapporto con le opere salesiane. I salesiani avrebbero dovuto essere considerati i gestori, gli “amministratori delegati” più che proprietari delle case, le quali erano invece dei cooperatori che le finanziavano. Non per nulla le circolari del primo gennaio di ogni anno erano il “rendiconto” di ciò che i salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice avevano potuto fare nell’anno appena trascorso e la richiesta idea1e d’approvazione di ciò, che essi progettavano per il nuovo anno in Italia, in Europa, nelle missioni: nuove fondazioni, mantenimento e sviluppo delle opere già esistenti, completamento di chiese e case in corso da anni, preparazione del personale, spedizioni missionarie.
Immensi problemi economici, in tempi di scarsissima circolazione monetaria si spesero cifre oggi classificabili in milioni di euro, tutti evidentemente raccolti dalla beneficenza, suscitata da don Rua con decine di faticosi viaggi per l’Italia e mezza Europa, con le sue circolari e tramite il Bollettino Salesiano, pubblicato ai suoi tempi in nove lingue. L’appoggio finanziario dei cooperatori salesiani e dei benefattori, nei non facili tempi dello scandalo del1a Banca Romana dalle pesanti ripercussioni sul sistema economico e bancario italiano, gli ha evitato la bancarotta. Nonostante tutto, un vero risanamento finanziario non venne comunque mai attuato: i conti rimasero sempre in rosso, stante l’impressionante ed incontrollabile sviluppo dell’Opera salesiana.


Conclusione


Succedere ad un grande, ad un fuoriclasse e mantenere alto il livello di un’impresa o di una missione è sempre un rischio. Il metodico e compito don Rua è stato all’altezza della situazione, ha garantito nello stesso tempo la continuità e lo sviluppo della società salesiana. Gliene va dato atto.
Da attento allievo di don Bosco, don Rua si è fatto apprezzato maestro, per insegnare e sviluppare quello che aveva imparato:
“Ha fatto dell’esempio del Santo una scuola, della sua opera personale un’istituzione estesa, si può dire su tutta la terra; della sua vita una storia, della sua regola uno spirito, della sua santità un tipo, un modello, ha fatto della sorgente una corrente, un fiume” (Paolo VI).