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Bicentenario della nascita di Don Bosco: Don Bosco inventa il Salesiano Cooperatore

di don Ferdinando Colombo, salesiano

I «Salesiani Cooperatori» sono per così dire il terz’ordine laico fondato da Don Bosco.

Oggi, per noi è normale pensare alla collaborazione strutturata dei laici nelle attività pastorali. Oggi esistono famiglie religiose, approvate dalla Chiesa, i cui membri, uomini e donne vivono senza particolari divise o distintivi, senza fare vita comune, inseriti nelle più diverse attività.

Don Bosco ha progettato, sperimentato, incoraggiato questo tipo di partecipazione, ma la visione giuridica dalla Chiesa dell’inizio ‘800 non gli permise di farne un'unica Congregazione.

Esigenze concrete

Durante i 18 anni di lavoro pastorale nei  primi oratori, prima della fondazione dei Salesiani, Don Bosco cerca e trova dei collaboratori: preti secolari, laici nobili o persone semplici per il catechismo, i corsi serali, i bisogni materiali, la ricerca di lavoro in città, e donne per lavori di sartoria e pulizia.

Fin dall’anno 1844, “per conservare l’unità di spirito e di disciplina”, Don Bosco pensa a raggruppare questi collaboratori in seno ad una associazione strutturata, dando loro il nome significativo di “promotori o Cooperatori Salesiani, costituiti come in vera Congregazione,  con il titolo di S. Francesco di Sales” (MB XI 85). Verso il 1850, fa riconoscere ufficialmente il gruppo dal suo arcivescovo Mons. Fransoni, e chiede a suo beneficio favori spirituali al Papa stesso (MB IV 93).

Don Bosco stesso, scrivendo la storia dei primi anni dell’Oratorio, ha presentato la Congregazione Salesiana come il frutto di uno smembramento del gruppo primitivo dei Cooperatori: i due gruppi, coesistenti, lavoravano in condizioni diverse; gli uni come religiosi, gli altri come laici, ma “uniti a lavorare per la povera gioventù” (MB XI 85‐86).

Si dedicano salesianamente anche loro ai giovani e potrebbero farlo non più solo negli oratori salesiani, ma anche nelle loro parrocchie e quartieri: appare qui un tipo nuovo “allargato” di Cooperatore, a servizio della Chiesa. Questo progetto rivoluzionario viene presentato nel testo delle Costituzioni mandato a Mons. Fransoni nel 1860, e nel testo mandato a Roma nel 1864: cap. 16 “Esterni” (MB VII 885) dice:

1 Qualunque persona anche vivendo nella propria casa in seno alla propria  famiglia  può appartenere alla nostra Società.

2. Egli non fa alcun voto; ma procurerà di mettere in pratica quella parte del presente regolamento che è compatibile con la sua età, stato, e condizione… opere di carità specialmente dirette al bene spirituale della gioventù o del popolo.

3. …Faccia almeno una promessa al Rettore di impiegare sostanze e forze nel modo che egli giudicherà tornare a maggior gloria di Dio.

Santa ostinazione

La lotta significativa tra Roma e Don Bosco su questo progetto (1864‐1874). Il 23 giugno 1864, la S. Congregazione dei Vescovi e Religiosi emana un decreto di lode che riconosce l’esistenza “ecclesiale” della nuova Società, e il 1 marzo 1869 il decreto di approvazione. Don Bosco li interpreta come un riconoscimento ufficiale dei due gruppi e della loro unità articolata. Ma gli esaminatori romani non l’intendono in questo modo. Durante 10 anni, fino gennaio 1874, Don Bosco tenterà di far capire e accettare la sua idea, ma non ci riuscì. Dopo due anni li costituisce definitivamente in “pia associazione” sotto il nome di “Unione dei Cooperatori Salesiani”, dopo essere stati riconosciuti da Pio IX nel Breve pontificio del 9 maggio 1876. Don Bosco scrive per loro il Regolamento definitivo che esce a Torino con la data del 12 luglio 1876 e sotto il titolo “Cooperatori Salesiani, ossia un modo pratico per giovare al buon costume e alla civile società”.

La lettura attenta di questo Regolamento (uno dei testi fondamentali di Don Bosco) con i suoi 8 capitoletti e la sua prefazione “al lettore” non lascia dubbi sulla natura esatta di questa Unione:

1. I suoi membri sono i fratelli e discendenti dei “Promotori Salesiani” del 1850,

2. Contano tra di loro delle Cooperatrici (Reg. IV 4) e non solo dei Cooperatori (cf MB XI 73‐74);

3. Sono “associati” alla Congregazione di S. Francesco di Sales, che serve loro di “vincolo sicuro e stabile”: si propongono “la stessa messe”, hanno lo stesso Superiore Maggiore, e “i membri della Congregazione li considerano tutti come altrettanti fratelli in Gesù Cristo” o “confratelli”.

Don Bosco vede i Cooperatori nell’ottica “apostolica”: sono dei Salesiani “laici”, “fratelli” dei Salesiani religiosi, di cui seguono in sostanza la regola sulla base di una promessa, dedicati a modo loro al bene dei giovani. Questo dovrebbe farci percepire con che vincolo stretto Don Bosco vedeva il rapporto Salesiani religiosi e Salesiani esterni.
Nel primo Capitolo Generale (1877) spiegò perché rifiutava di “decentrare” l’organizzazione dei Cooperatori come fanno i Francescani per il loro Terz’Ordine: “Il più grande sforzo che io abbia fatto per questi Cooperatori, cosa per cui ho studiato per molti anni… fu appunto di trovare il modo di rendere tutti uniti al capo e che il capo possa far pervenire i suoi pensieri a tutti” (MB XIII 263).

Che cosa è dunque necessario per essere Cooperatore?

I giovani e gli adulti che dicendo “SÌ” all’invito dello Spirito Santo si impegnano per l’intera vita a vivere un cristianesimo integrale nello spirito di Don Bosco e a educare i giovani.
Diventando salesiani Cooperatori. «Bisogna prendere coscienza chiara che impegnarsi come “salesiano Cooperatore” è rispondere ad una vera “chiamata”: è dunque accettare un’autentica vocazione salesiana apostolica (CGS n. 730).

NB - La sigla MB indica “Le Memorie Biografiche di Don Bosco”.

- Ufficio mondiale dei Salesiani Cooperatori: Via della Pisana 1111 – 00163 Roma-Bravetta