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II Domenica di Pasqua : Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi

di Antonio Rungi

Celebriamo oggi la domenica della divina misericordia, voluta fortemente da Giovani Paolo II come conclusione della settimana di Pasqua, durante la quale la parola di Dio ci propone varie apparizioni di Cristo, con i segni della sua passione e morte in croce.
Il Redentore ci viene presentato oggi nella liturgia della domenica in Albis come Colui che riversa sull’umanità intera e sulla chiesa in particolare tutti i benefici della sua morte e risurrezione e in primo luogo il beneficio della remissione dei peccati e della riconciliazione.

Dio che è amore è anche misericordia, perdono, riconciliazione e pace. 


Il testo del Vangelo di Giovanni che ci sta accompagnando in questo tempo di Pasqua ci riporta alla narrazione dell’apparizione del Signore ai discepoli, il giorno di Pasqua, ed otto giorni dopo, quando è presente anche Tommaso, che aveva seriamente dubitato della risurrezione di Cristo e che chiedeva, per poter credere, di toccare il Signore Risorto.
Gesù ricompare a distanza di otto giorni e di quello che succede in tale contesto ce ne dà l’esatta narrazione l’evangelista che brano del Vangelo di oggi. 

Questo brano del Vangelo è uno dei più significativi per farci capire il difficile cammino della fede personale e comunitaria.
Tommaso è l’esempio di questa fede che ha bisogno di verifica, di conoscenze più certe, di attendibilità. In realtà, la fede vera non è vedere o toccare qualcosa o qualcuno, ma è incontrare qualcuno, è accettare Qualcuno.
La fede è incontro con il Risorto, è dialogo con lui nell’amore e nella fiducia. Gesù dà l’opportunità a Tommaso di consolidare la sua fede mediante le apparizioni, ma fa pure osservare che una simile fede non è più fede, è dimostrazione della fede; la fede invece è un credere senza dimostrazioni, è affidarsi completamente a Dio, è abbandonarsi a lui, alla sua parola, è credere alla parola della Chiesa e di chi in questa Chiesa ha un ministero, soprattutto quello di maestro e guida per gli altri.
Su questo tipo di fede semplice, spontanea, senza alcuna base razionale, scientifica abbiamo bisogno di concentrarci per recuperare la nostra appartenenza a Cristo.
Di fronte ad uno scientismo esagerato, credo che questo richiamo di Cristo a credere senza verificare è un invito all’essenza stessa della fede e quindi dell’uomo, quell’essenza che consiste nel credere a Qualcuno, nel credere a Dio, creatore e redentore. 

Una simile fede impegna e chiede la testimonianza. Quando Qualcuno ti prende il cuore e la mente non lo più tenere chiuso in te stesso. Necessiti di comunicarlo, farlo conoscere, farlo amare dagli altri.
E’ il compito di ogni cristiano che una volta incontrato Cristo nella fede, questa fede deve diffonderla.

“Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”
,
 ci ricorda il Vangelo. Siamo tutti Apostoli della misericordia e del perdono. La Chiesa ha questo essenziale compito, che seppe e sa svolgere con coscienza, competenza e responsabilità ancora oggi. 
Ma a ben leggere ciò che la primitiva comunità cristiana faceva al tempo degli Apostoli ci rendiamo conto dell’impegno missionario dei primi cristiani, che formavano una vera comunità e come tale si impegnavano ad evangelizzare, come leggiamo oggi negli Atti degli Apostoli.
In questa comunità cristiana ideale si viveva la carità, il servizio, la solidarietà, la disponibilità, il distacco dai beni della terra e la gestione comunitaria dei beni. Il diritto di proprietà veniva volentieri ceduto come diritto alla carità vissuta e concretizzata in gesti del donare. 

Il cristiano che sa distanziarsi dai beni della terra e si immerge completamente in Cristo è l’uomo della vittoria, è la persona luminosa che nasce dalla fondamentale risurrezione che avviene dentro di sé: quella risurrezione dalla schiavitù del peccato e dell’orgoglio che fa dell’uomo un soggetto davvero libero.
San Giovanni Apostolo ed evangelista, nella seconda lettura di oggi, strettamente collegata al Vangelo ci dice esattamente chi è il vero cristiano e chi può definirsi e chiamarsi tale. 

Possiamo giungere ad un sintesi di tutto il pensiero teologico di Giovanni attraverso i punti da lui sottolineati nel brano della sua Prima Lettera: il cristiano crede che Gesù Cristo è Figlio di Dio; chi crede in Dio, crede anche in Cristo e crede anche nei figli di Dio, in quella carità universale che tutti ci lega, perché la fede è soprattutto amore.

Amore è sinomino di rispetto ed impegno nell’osservare scrupolosamente i comandamenti di Dio, che sono espressione di amore e manifestazione d’amore. 


Ad una settimana dalla celebrazione dell’annuale Pasqua di Risurrezione risultano di grande utilità spirituale questi richiami alla fede e alla carità, virtù teologali che dicono stretto rapporto alla speranza.
E’ infatti nelle nostre attese che il mondo rinnovato dalla Pasqua di Cristo può davvero camminare nella novità della vita con gesti di risurrezione, di vita e compassione nei confronti di chi ha la morte nel cuore, è chiuso alla vita e vive nella solitudine.
Solo una comunità cristiana solidale e attenta ai bisogni dei fratelli in difficoltà può mediare in termini semplici e sostanziosi il mistero del Risorto.
La risurrezione richiama e riporta all’amore: un amore che si fa dono e davvero sa donare tutto ciò che si possiede non solo in termini materiali, ma soprattutto spirituali ed affettivi.

Ascolta le riflessioni di Don Ferdinando Colombo
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