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Il contratto di apprendistato

di J. G. PALACIOS (B.S.)

Nel novembre del 1851, Don Bosco scrive e fa firmare uno dei primi contratti della storia tra padrone e apprendista. Don Bosco mette il dito su molte piaghe.

Alcuni padroni usavano i giovani apprendisti come servitori e sguatteri. Egli li obbliga a impiegarli solo nel loro mestiere.

Si preoccupa della salute, del riposo festivo e delle ferie annuali. Ed esige uno stipendio “progressivo” (Memorie Biografiche IV, 295-297).




Non dimenticherò mai quel giovane prete che infuse un’anima di dignità nel mio fragile corpo di carta. Ero un normale foglio di carta sul tavolo del signor Carlo Aimino, maestro vetraio e padrone di un laboratorio di vetreria. Ero rassegnato al mio destino: diventare una fattura.

Mi illuminavano a tratti i bagliori rossi del forno in cui s’arroventava la pasta di vetro. Vedevo gli operai soffiare nei lunghi tubi per dar forma a bottiglie, fiaschi, portafiori, soprammobili modellando velocemente le masse di vetro incandescente.

Mi piacevano soprattutto le grosse “lacrime” luccicanti per i grandi lampadari a goccia dei signori.

Un giorno arrivò in fabbrica quel giovane prete. Lo accompagnava un ragazzo di appena dodici anni. Sentii che il padrone protestava: «Don Bosco, quello che mi propone lei è una assurdità! Nessuno fa una roba simile!». Gentile e sorridente ma irremovibile, don Bosco insisteva.

Poi, con un gesto rapido, mi afferrò e cominciò a scrivere su di me. Aveva le idee chiare: le parole fluivano celeri e la penna correva veloce sul mio corpo di carta.

«Il Sig. Carlo Aimino riceve come apprendizzo nell’arte sua di vetraio il giovane Giuseppe Bordone nativo di Biella, promette e si obbliga di insegnargli la medesima nello spazio di tre anni, i quali avranno il suo termine con tutto il mille ottocento e cinquantaquattro il primo dicembre e dargli durante il corso del suo apprendizzaggio le necessarie istruzioni e le migliori regole riguardanti l’arte sua ed insieme gli opportuni avvisi relativi alla sua buona condotta, con correggerlo, nel caso di qualche mancamento, con parole e non altrimenti; e si obbliga pure di occuparlo continuamente in lavori relativi all’arte sua e non estranei ad essa, con avere cura che non eccedano le sue forze…»

Alcuni minuti dopo, don Bosco soffiò sulla mia superficie per asciugare l’inchiostro. Poi mi consegnò al mio padrone che lesse con attenzione e sospirò. Ebbi un attimo di paura. Ma alla fine il buon Carlo firmò e strinse la mano di don Bosco. Respirai sollevato.

Ora sono inquadrato in una elegante cornice, conservato con ogni cura a Valdocco. Sono entrato nella storia come uno dei primissimi contratti di apprendistato per la difesa dei giovani lavoratori, che prima erano isolati e indifesi nelle mani dei padroni.

Grazie a me (e soprattutto a don Bosco) un ragazzo aveva potuto apprendere un mestiere, essere giustamente retribuito e soprattutto ricevere il rispetto e la dignità di giovane lavoratore.

Don Bosco Contratto.pdf