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Verso il Perdono

di Gianni Vaggi

Verso il perdono

di Gianni Vaggi

Università di Pavia, Scuola Europea di Studi Avanzati in Cooperazione e Sviluppo

 

Questa riflessione prende spunto dal Messaggio di Giovanni Paolo II per la giornata mondiale della pace, il Primo Gennaio 2002; il messaggio del 2003 ha suggerito ulteriori considerazioni.

 1. Perché il perdono?

 Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono. La prima parte dell'affermazione è ormai data per scontata in ogni ragionamento sulla pace, è ormai un dato acquisito, almeno nel ragionamento astratto. Mi sono chiesto: pace e giustizia va bene, ma che c'entra il perdono? E' una cosa che riguarda il Papa, o comunque i credenti, in particolare i credenti in Cristo? Il Papà è un'autorità spirituale, ma soprattutto un sacerdote, quindi ‘deve' parlare di perdono, un fatto di coscienza; cose da preti dunque, o comunque da credenti, quindi nulla di cui stupirsi. Sicuramente il perdono fa parte della bontà e se tutti perdoniamo e siamo più buoni anche la giustizia e la pace ne trarranno vantaggio. C'è un effetto indiretto sulla pace: se siamo tutti più buoni il mondo va meglio. Insomma si tratta comunque di un sermone, di un bellissimo appello alle coscienze.

 Oppure c'è altro? C'è forse un effetto diretto del perdono su pace e giustizia? Ci sono forse indicazioni significative per le istituzioni e le strutture della società internazionale? E se il perdono fosse un elemento necessario della pace, come la giustizia, anche nel ragionamento del non credente? Il discorso del Papa mi ha stupito e mi sono posto ulteriori interrogativi. Si tratta di un messaggio personale, rivolto ai fedeli, oppure ha anche valenze collettive: sociali e politiche? E' un messaggio tutto normativo, per le coscienze, anche per quelle dei potenti, o riguarda anche le strutture e le istituzioni? Seppure con  timore ho cercato qualche risposta.

Per continuare a parlare di pace bisogna forse avere anche fantasia e tentare di guardare oltre l'ovvio. Giustizia e perdono sono ambedue componenti essenziali del concetto di pace, concetto di per sé ormai tanto utilizzato da apparire a volte noioso, o per lo meno banale. A mio modo di vedere il Papa ha aperto una prospettiva nuova del concetto di pace, anche per in non credenti in Cristo, anche per la storia grande o piccola che sia.

 Il perdono serve a superare un trauma nel rapporto fra due parti. Dell'idea di giustizia come perdono, come riconciliazione, troviamo molti esempi laici, nel mondo della politica e dell'economia, nella storia, anche in quella molto recente.  Quelli che seguono sono solo alcuni degli esempi possibili di perdono. Sfortunatamente troviamo anche tante situazioni in cui proprio la mancanza di riconciliazione impedisce di progredire e di raggiungere una qualche pace.

 

2. La riconciliazione: un nuovo inizio; qualche esempio dall'economia

 Il problema del debito ed il giubileo.

Della cancellazione del debito estero dei paesi più poveri si è molto parlato dal 1996 fino all'anno 2000. Nel 1996 la banca Mondiale propone l'iniziativa HIPC, Heavily Indebted Poor Countries, una procedura lunga e complicata per alleviare il debito di 41 fra i paesi più poveri del mondo;

per la prima volta viene accettato il principio della cancellazione, almeno parziale, del debito.

Da allora qualche cosa si è fatto, grazie alla pressione delle Organizzazioni Non Governative, di alcune agenzie delle Nazioni Unite e anche grazie ai molti interventi da parte delle Chiese e del Vaticano. Molto resta da fare e comunque il problema del debito si era presentato in modo drammatico già nel 1982, parecchi anni prima.

 E' questa forse la vicenda più nota, ma non l'unica di perdono ‘economico'

In effetti il rapporto fra debitore e creditore è pieno di situazioni di ‘condono', anche fra enti privati e anche in campo internazionale. Si pensi al fallimento di un'impresa e alle tutele che comunque sono garantite al debitore; il diritto di rivalsa limitato del creditore. Non si va in prigione per debiti, ne il debitore deve essere ridotto alla fame, così sostiene la tradizione liberale-borghese, dalla fine della guerra civile inglese del diciassettesimo secolo; la prima rivoluzione borghese legata al nome di Cromwell, ma anche alla conquista dell'habeas corpus nel 1679 e alla  prima dichiarazione dei diritti dell'individuo nel 1689.

 Il Capitolo 11 della Legge sulla bancarotta degli Stati Uniti

Ci sono anche interpretazioni più recenti del rapporto di debito in cui è previsto un nuovo patto. Il Capitolo 11 della legge sulla bancarotta degli USA è ora diventato famoso per via degli scandali finanziari del 2002 negli Stati Uniti; poi nel Luglio 2002 Worldcom è dovuta ricorrere a questo articolo di legge e ancora nel Novembre dello stesso anno United Airlines. Il Capitolo 11 era già stato invocato negli anni ottanta a favore dei paesi poveri e indebitati durante la fase iniziale della crisi del debito dei paesi in via di sviluppo, allora non se ne fece nulla.

Caratteristica di questo articolo è che si consente al debitore di sospendere i pagamenti sui vecchi debiti e di continuare l'attività economica. Il debitore può anche contrarre nuovi debiti, senza che le risorse dei nuovi creditori debbano essere utilizzate per fare fronte ai vecchi crediti. Insomma si può provare a ricominciare, l'impresa debitrice ha una seconda possibilità, ovviamente sotto la supervisione del tribunale che ha concesso l'applicazione del Capitolo 11.

 Il piano Marshall e il diritto alla ricostruzione

Il piano Marshall ha rappresentato un caso in cui il vincitore ha aiutato lo sconfitto; al popolo tedesco, giapponese, italiano, è stata data la possibilità di ricominciare, cosa che non fu dopo la prima guerra mondiale. Qui il perdono si accompagna all'aiuto economico ed entrambi costituiscono quell'insieme di interventi che dopo la seconda guerra mondiale sono considerati come la cosa ‘giusta' da fare per ricominciare sia dai politici che da gran parte dell'opinione pubblica mondiale. Questa esperienza è stata tanto importante che ancora se ne parla in abbondanza; il piano Marshall per la Palestina (speriamo), la ricostruzione a Timor Est, in Bosnia, in Mozambico, forse in Angola e così via. La pace che deriva dalla riconciliazione deve essere accompagnata, favorita, da un processo di ricostruzione dell'economia che garantisca la sostenibilità e la reale indipendenza dello stato.

 Quindi l'esigenza della ricostruzione come passo necessario per sviluppo. Forse c'è qualche cosa di più: il diritto alla ricostruzione per i popoli e per gli stati usciti dalla guerra e il dovere per chi non ha subito le sofferenze di intervenire e di partecipare attivamente in questo processo. Certo vi sono casi in cui questo perdono che include il diritto alla ricostruzione non è stato riconosciuto: non in Iraq, non in Serbia, in fondo neppure dopo la caduta di Milosevic, non in Somalia e ovviamente non in tutti i paesi sottoposti ad embargo. Quindi gli schieramenti e le alleanze della real politik spesso prevalgono su questo particolare diritto.

 

3.      La riconciliazione: qualche esempio dalla politica;  le corti penali internazionali

 Le ferite profonde

La storia anche recente dell'umanità ha visto tali aberrazioni, violazioni così mostruose dei diritti umani che trascurare l'aspetto del giudizio formale, della punizione, sembra impossibile. Sono queste le ferite profonde nel corpo e nell'animo dell'umanità: i genocidi, gli stupri etnici, le violazioni dei bambini. Giustizia richiede verità, ricordava nel 1963 Giovanni XXII nella Pacem in Terris che la verità è uno dei quattro pilastri della pace, gli altri sono giustizia, libertà e amore. La giustizia internazionale vede ora almeno tre tribunali internazionali ad hoc; quelli per Ruanda, e Sierra Leone e la più famosa corte internazionale dell'Aia per i crimini nella ex-Jugoslavia del 1993. Si è aggiunta la Corte Penale Internazionale prevista dai trattati di Roma del 1998 e che ha superato la soglia del riconoscimento da parte di almeno sessanta stati, necessaria per divenire operativa.

Questi sono alcuni strumenti giuridici di cui la comunità internazionale si sta dotando per punire, per dare giustizia, giustizia ex post a chi ha subito torti, ma forse e soprattutto per non dimenticare. Altre possibilità, altri strumenti potranno nascere.

 Per quanto imperfetti questi tribunali sono strumenti necessari, indispensabili, nel processo di perdono per almeno tre ragioni.

 La prima ragione riguarda un principio del codice penale, ma che anche il Papa sottolinea: la responsabilità penale è personale. Questo è un passo essenziale per delimitare il campo ed evitare che si estenda all'infinito la catena delle vendette, l'idea del farsi giustizia trasversalmente. Questo principio rappresenta una conquista fondamentale nella storia dei diritti del cittadino, guai a dimenticarlo; questo principio serve a tenere ben separati gli errori dei governanti o dei forti dal destino del loro popolo; serve ad evitare la trasversalità della punizione, o peggio le punizioni collettive. Non si può punire un popolo per gli errori di alcuni, anche quando questo popolo non ha avuto la forza o la possibilità di ribellarsi. Troppe sono le situazioni di terribili ferite profonde, guai ad estenderne la responsabilità ai popoli in generale, si innesca una catena che è l'esatto opposto del dare perdono. Medio Oriente, Afganistan, Ruanda, Congo.

Sfortunatamente assistiamo ad un uso sempre più diffuso di punizioni collettive: deportazioni di famigliari di attentatori, distruzioni di case, fino all'idea di guerra preventiva. Idea non nuova per la politica giustificata sulla base della sola forza, ma estranea alla giustizia internazionale a meno che si tratta di necessità comprovata di difesa.

 La seconda ragione riguarda la memoria, il non dimenticare, ogni crimine non va ripetuto, ma ciò è tanto più vero per le ferite profonde, insomma la memoria storica richiede anche una forma di riparazione che sta soprattutto nell'accertamento dei fatti, nel riconoscimento dei crimini e delle lesioni dei diritti. Il tribunale speciale o comunque un processo ed una sentenza servono a sancire il giudizio su di un fatto storico, a sanzionare un comportamento inaccettabile per il sentire collettivo medio, a porre un punto fermo per non ripetere gli errori.

 La terza ragione ci riporta alla questione della formazione del giudizio da parte degli individui del mondo. La giustizia internazionale, come ogni altra forma di giustizia, non è solo un insieme di codici e regole, anzi forse più della giustizia all'interno di uno stato quella internazionale richiede forme importanti di condivisone dei principi e delle norme, anche delle sanzioni. I tribunali internazionali possono aiutare moltissimo il processo di perdono. Il debole, la vittima può dare il perdono al forte di un tempo, anche di fronte alle ferite profonde. La sanzione di un tribunale internazionale, l'affermazione pubblica e forte dell'ingiustizia subita è un elemento essenziale per aiutare la sensazione che giustizia viene fatta o per lo meno è stata affermata; grazie a questa convinzione è più facile procedere con il perdono. Questi tribunali sono strumenti per giungere ad una verità, componente essenziale della pace, ma verità che deve essere largamente condivisa, partecipata, anche attraverso e grazie allo strumento del processo, del giudizio.

 

4.      Il perdono e la memoria

 Gli esempi di ‘riconciliazione' delle sezioni precedenti sono solo alcuni degli strumenti oggi a disposizione della dimensione collettiva, sociale del perdono. Non siamo sguarniti, anzi per fortuna l'invenzione di nuovi e diversi modi per ricominciare è divenuta una parte essenziale della nostra storia e speriamo che così continui.

Voglio ricordare un'ulteriore esperienza, davvero significativa, in cui giustizia, verità e perdono si mescolano in modo potente.

 La commissione per la verità e la riconciliazione in Sud Africa

E' questo un esempio di perdono come riconciliazione che ci viene dal mondo della politica. La The Truth and Reconcilation Commission è uno strumento nuovo e bellissimo inventato per cercare di superare i molti anni di regime dell'apartheid. La Commissione è stata in funzione dal 1996 al 1998 sotto la presidenza del premio Nobel Desmond Tutu con oltre 300 dipendenti ed un bilancio annuale di circa 18 milioni di dollari e aveva il potere di amnistia. Vi sono altri casi di Truth commissions, Ruanda, Guatemala, Timor Est.

Verità è termine difficile e anche pericoloso quando ci si accapiglia su verità contrapposte. Eppure verità, perché il passato non può essere cancellato, perché parte dell'idea di giustizia è che i torti vengano riconosciuti, chi ha avuto diritti lesi deve vedere riconosciuto questo fatto, vuoi per un indennizzo, laddove possibile, vuoi per la sensazione della giustizia in se che il riconoscimento del torto subito comporta.

Eppure c'è la riconciliazione, il perdono, una nuova alleanza, la verità è funzionale a produrre questo risultato.

 Si guarda indietro, ma per guardare avanti;

 la giustizia non è un tribunale, ne un atto isolato, una volta per tutte, la giustizia che deve coniugarsi con la pace è un processo, un percorso.

 Tutto questo richiede anche di dimenticare in parte il passato se vogliamo tenere legati i concetti di giustizia e di perdono. Sembra paradossale eppure in certi conflitti laddove la situazione è particolarmente incancrenita (Israele-Palestina, le guerre in ex-Iugoslavia) se non si inizia ex novo, anche al prezzo di dimenticare in parte il passato, di isolare non di annullare parte della memoria, non c'è possibilità di ripresa. La legge del taglione, occhio per occhio, ha creato catene ormai infinite di soprusi in cui ognuno è creditore  e così si sente, quindi si sente offeso, e nello stesso tempo ognuno produce dolore, e quindi solo il perdono può consentire un nuovo inizio.

 Quando il perdono manca

Abbiamo purtroppo anche tanti esempi di come la mancanza di perdono, di riconciliazione, impedisce di proseguire, o di intraprendere il cammino della pace. In Irlanda del Nord la tensione, a volte la guerra, continua da decenni. In Bosnia il contingente militare internazionale è presente a ormai sette anni e non vi è accenno alla possibilità di ritirarsi. Quanto a lungo resteranno i militari in Kossovo e in Afganistan?

Proprio la presenza, anche molto prolungata dei contingenti militari internazionali segnala una carenza evidente nel processo di pacificazione. Alla radice del permanere di questi conflitti e di queste tensioni è la mancanza di riconciliazione, di perdono.

 In questo contesto la riflessione sul perdono assume una rilevanza storica altissima. E' forse uno degli elementi di maggior peso verso la pacificazione, la tutela dei diritti umani e lo sviluppo.

 Ricordare per non commettere gli stessi errori, ma dimenticare per andare avanti.

 

5. La giustizia, la metafora della bilancia e il per-dono

 L'immagine della giustizia che spesso abbiamo in mente, è quella rappresentata da una bilancia e soprattutto la bilancia ha i due piatti alla stessa altezza, è un'immagine che si accompagna al concetto di giustizia, c'è un'idea di uguaglianza e anche di equilibrio. La giustizia  e la bilancia, una bella metafora, ma anche una visione statica.

 La giustizia con perdono come elemento dinamico.

E' possibile una lettura dinamica della metafora della bilancia, soprattutto quando essa si applica alla giustizia internazionale.

 E' proprio la prospettiva del perdono che ci consente di passare dalla visione di equilibrio a quella in movimento. Il perdono infatti supera la situazione esistente.

 Vi è una visione della giustizia internazionale, non legata all'equilibrio, ma all'idea di dignità umana, al fatto che non via siano distanze eccessive, fra gli individui e fra le società. Un'idea di giustizia che richiede che si debba evitare alla parte debole, al debitore, a chi ha subito il torto, a chi è più debole militarmente, a chi ha perso la guerra, di soccombere totalmente. Il colpevole, il debitore ha comunque dei diritti fondamentali, compreso quello di poter iniziare un nuovo cammino.

 Ecco dove il concetto di perdono si unisce e supera quello tradizionale di giustizia. Il perdono con giustizia richiede dignità fra le parti, non necessariamente perfetta uguaglianza, uniformità, riparazione dei torti al centesimo, ma condizioni tali che le distanze non siano eccessive ed incolmabili.

 ‘Non c'è giustizia senza perdono', implica che con il perdono si ‘rimette' qualche cosa che non viene o non può essere ripagato. Allora ci si può muovere nella storia senza attendere l'equilibrio dei piatti della bilancia.

 Il perdono va oltre la giustizia perché non è un elemento di un contratto e neppure di quei contratti particolari che sono i mercati, in cui si scambiare fra di loro cose di uguale valore.

  Il perdono è un dono, un super-dono, e quindi sfugge alla logica del dare e dell'avere, è un atto che guarda soprattutto a stabilire nuovi rapporti fra le parti. Il dono è un mezzo con cui fare felice e compiacere qualcuno, ma anche stringere o rinforzare un'amicizia, lo stesso vale e forse ancora di più per il per-dono.

 

6. Disordine economico e differenze tollerabili

 I tribunali di cui abbiamo parlato riguardano i crimini contro l'umanità e molto spesso si riferiscono a situazioni di tale tragicità che vi può essere condanna penale del colpevole, ma per cui non vi possono essere riparazioni economiche. Diverso è il caso delle ‘ingiustizie economiche'.

 Vi sono evidenti ingiustizie economiche subite dai poveri del mondo, evidenti perché fanno ormai parte di un giudizio condiviso, pressoché unanime; come diversamente potremmo giudicare il colonialismo e la schiavitù? Come per le ferite profonde queste situazioni non hanno un prezzo; le sofferenze causate da colonialismo e schiavitù non potranno mai essere ripagate.

Eppure e a differenza dei crimini penali una qualche forma di riparazione dovrà essere trovata, perché questa riguarda il presente e il futuro dei popoli in via di sviluppo o di sottosviluppo e non soltanto il loro passato. Ancora oggi c'è tanto disordine nella distribuzione internazionale del reddito, c'è tanta distanza fra ricchi e poveri.

Nel messaggio per la giornata della pace del Primo Gennaio 2003 Giovanni Paolo II ci dice che:

"siamo testimoni dell'affermarsi di una preoccupante forbice" fra le società ricche e quelle povere, dove vi sono

"diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti....penso, ad esempio, al diritto al cibo, all'acqua potabile, alla casa, all'auto-determinazione e all'indipendenza. La pace richiede che questa distanza sia urgentemente ridotta e infine superata."

 Per muovere verso una situazione che consenta di condividere giudizi di giustizia economica un cambiamento è urgente, ci dice Giovanni paolo II; non vi può essere perdono se non vi è la sensazione che le differenze si stanno riducendo, che le possibilità offerte dalla tecnologia e dalla democrazia si rendono disponibili a tutti.

Se interpretiamo i piatti della bilancia come indicatori di quote del reddito mondiale, della distribuzione fra ricchi e poveri e se i piatti della bilancia non si avvicinano sarà molto difficile avere giudizi che convergano verso una sensazione di giustizia economica internazionale che sia almeno in via di realizzazione.

Molto potrebbe essere fatto. Forse non si arriverà ad una distribuzione del reddito perfettamente egualitaria, ma il movimento verso il riequilibrio è un elemento assolutamente essenziale dell'idea di giustizia economica internazionale. Per l'affermazione della giustizia non dobbiamo aspettare di avere i bracci della bilancia in perfetto equilibrio, ma i piatti della bilancia si devono muovere nel senso di ridurre le differenze. Essi ruotano attorno al fulcro non per farci tutti poveri o ricchi allo stesso modo, ma per ridurre le differenze, l'idea di differenze tollerabili è proprio questo.

 Più che l'equilibrio è fondamentale la direzione del movimento dei piatti della bilancia, non si tratta di un giudizio morale; nella giustizia soprattutto internazionale contano le sensazioni ed i giudizi di tutti gli individui, sul fatto che ci si stia o meno muovendo nella direzione condivisa, sentita come giusta. Forse non è la grande distanza fra poveri e ricchi a dare scandalo, e neppure che la distanza non si riduca, ma ancora di più il fatto che negli ultimi vent'anni troppi popoli hanno visto un peggioramento della loro situazione economica, non solo relativamente ai paesi ricchi, ma anche rispetto alle loro stesse condizioni negli anni sessanta e settanta. Dal 1980 ad oggi tre grandi aree del mondo, America Latina, Africa Sub-saariana e Medio Oriente e Nord Africa non hanno avuto incrementi significativi nel prodotto pro capite, anzi in molti paesi questo si è ridotto; il miracolo economico dell'Asia Orientale per ora è rimasto circoscritto a pochi paesi di quell'area.

Dunque crescita economica con ridistribuzione del reddito a favore dei più poveri, quella pro-poor growth che pian piano, forse troppo piano, si sta facendo strada anche nel dibattito sullo sviluppo e nelle istituzioni internazionali. Tutti i popoli devono avere garantito il diritto prioritario allo sviluppo e all'autodeterminazione, il diritto di accrescere le proprie possibilità e la propria libertà; capabilities and freedom, opportunità e libertà, per seguire le indicazioni del premio Nobel Amartya Sen.

 E tuttavia bisogna sottolineare come ancora oggi manchino strumenti di arbitrato economico. Dove sono i tribunali ed i giudici che devono essere gli strumenti per avvicinarci ad equità e democrazia economica? All'interno delle Nazioni Unite esiste un Comitato Economico e Sociale, ma ha poteri assai limitati. Banca Mondiale e Fondo Monetario hanno assai più poteri, ma decidono sulla base delle indicazioni di Comitati Esecutivi in cui i paesi ricchi hanno ben più del 50% dei voti. Si vota in base alle quote sottoscritte di capitale, come nelle società per azioni e quindi è normale che i ricchi contino di più. Eppure oggi il principale problema di giustizia economica internazionale è la riduzione delle distanze fra ricchi e poveri.

 E' possibile che solo il criterio del peso economico conti nel prendere decisioni che devono portare proprio ad una modificazione dei pesi stessi? Se questo è il criterio quando e come i poveri potranno partecipare?

 Non c'è in questo fatto qualche elemento di stranezza? E se anche le decisioni fossero sempre a favore dei più deboli, pro-poor, sarebbero comunque prese da altri per conto loro. Troppa timidezza nell'affrontare il cambiamento, altro che l'urgenza richiamata dal Papa; questa lentezza sta producendo un danno enorme alla credibilità delle istituzioni internazionali ed anche alla ricerca della pace. Dice il ancora il Papa nel messaggio del primo gennaio 2003:

"La sofferenza causata dalla povertà risulta drammaticamente accresciuta dal venir meno della fiducia. Il risultato finale è la caduta di ogni speranza. La presenza della fiducia nelle relazioni internazionali è un capitale sociale di valore fondamentale."

 Chiedere perdono ai poveri per le evidenti ingiustizie economiche è doveroso e serve a ristabilire fiducia, ma la sola richiesta sarebbe una strumentalizzazione dell'idea di perdono, una bestemmia nell'ipocrisia. Il perdono si aggiunge e supera la giustizia, non può essere un pretesto per il permanere dell'iniquità; il perdono è attivo, richiede cambiamento.

 

7. Oltre la riconciliazione, il ri-conoscimento

 Eppure il perdono implica e richiede, ci segnala, qualche cosa di ulteriore, anche di personale. Qualche cosa che può trovarsi nell'animo e nei convincimenti dell'individuo in società.

 Il perdono è termine che allude ad un fatto più intimo e personale che va oltre la  riconciliazione.

 La vera difficoltà sta nel perdono dei cuori soprattutto da parte delle vittime, di chi ha subito l'ingiustizia, o ancora la soffre. La riconciliazione è necessaria, ma il perdono si spinge anche oltre, al di la del nuovo patto. Non è solo il patto, ma è convinzione, un nuovo moto dell'animo, una diversa disposizione. Scrive il Papa nel messaggio del 2002, il

 "perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati".

 Riflettere sulla dimensione personale ed intima del perdono non significa abbandonare l'idea di individuo come ‘relazionalità', l'idea di individuo come essere fondamentalmente sociale. La riconciliazione allude ad un fatto tipicamente relazionale, fra due società, o individui; vi sono almeno due termini. Ma anche il perdono, soprattutto quando riguarda le ferite profonde, è un fatto al tempo stesso privato, dell'intimo, ma anche collettivo. Ancora il Papa nel messaggio del 2002:

  "il perdono si rende necessario anche a livello sociale."

 Anzi, l'animo fatica a perdonare se non vede nella società internazionale dei segni di riparazione. La verità e la memoria sono elementi essenziali del  nuovo patto, della riconciliazione ed ognuno di noi è profondamente condizionato nei suoi giudizi individuali e nei suoi sentimenti dai segnali collettivi, che giungono dall'esterno, da chi ha offeso, ma anche e soprattutto da chi è o dovrebbe essere giudice. Quindi il processo intimo del perdono non si oppone, ma richiede e si concilia con il processo sociale di riconciliazione, è però una dimensione diversa, ulteriore di questa ‘ri-partenza'.

 Il perdono è un processo, non necessariamente un atto singolo, un gesto, una parola, un giudizio. Può identificarsi con un fatto, con un momento emblematico, quasi ‘eroico', ma il perdono può richiedere tempo, può prendere parte dei sentimenti e della memoria e portarli con se, anche a lungo, è un cammino, interiore e anche collettivo, delle società. Interiore perché è la storia delle ferite profonde dell'animo che in parte si rimarginano; collettivo perché è il graduale riavvicinarsi di due schieramenti ‘nemici' che pian piano tornano a conoscersi, a praticare nuovamente atti e gesti fra di loro.

 Perdono è il ri-conoscimento del nemico di un tempo, che ora vedo sotto nuova luce, si apre la possibilità di nuova conoscenza. Il tempo e la pratica ne saranno i testimoni e gli strumenti.

 E infatti nel messaggio del Gennaio 2003 Giovanni Paolo II ci dice:

 "Gesti di pace creano una tradizione e una cultura di pace".

 Inizia una fase, un cammino, un itinerario di perdono. Le ferite profonde richiedono momenti simbolici e forti di giustizia: processi internazionali, scuse pubbliche e riparazioni economiche, ma spesso questo è solo ciò che serve per iniziare il cammino della riconciliazione e del perdono, per dare alla pace giusta una nuova possibilità. Davvero abbiamo alternative?

 

8. Conclusioni

 C'è forse un rischio; troppo spesso di perdono si parla e si parla tanto, forse troppo spesso si chiede perdono, è una richiesta facile e anche ‘leggera' e però impegnativa. L'impegno implica anche il fare la propria parte, rimettere i propri crediti, dare perdono; spesso di perdono si parla molto e si pratica poco. Certo il Papa, i Papi, ne hanno dato grandi e numerosi esempi, instancabili, ma quali i risultati? Quali popoli ed individui riconoscono le loro colpe e i loro doveri? Non sono tutti ad urlare i propri diritti? Altro che riconoscere la propria inadeguatezza. Insomma perché occuparci tanto di perdono se poi resta una cosa da confessionale e non ha impatto sulla storia? Tanto parlare di perdono, ma poco cambiamento.

Il rischio dell'abuso verbale è terribile, perché distrugge fiducia, ma suggerisco una considerazione, che mi pare di una ovvietà perfino sconvolgente, anche per i non credenti:

 come è possibile pensare che si possa realizzare una società internazionale migliore senza l'idea e la pratica del perdono?

 La storia sta accelerando, e all'interno di essa si moltiplicano le nostre possibilità di conoscere e di agire. Forse tutto questo fornisce un senso e una speranza anche a quegli uomini e donne le cui sofferenze sembrano non avere un senso e non produrre frutti. In questa prospettiva assume significato chiedere e dare perdono, a questi umili e deboli ed anche per loro.

 Poi, oltre, c'è la misericordia divina, ma questa è un'altra storia.