Share |

Articoli

torna all'elenco

Giovani "stupefacenti"

di Giuliano Vettorato, salesiano

Una delle forme attraverso cui si pensa di cogliere l’espressione del disagio giovanile è il consumo di droghe.
Questo fatto suscita molte apprensioni negli adulti, soprattutto in genitori ed educatori.
Il fatto è che la tossicodipendenza è ancora preda di un forte stereotipo sociale. Mentre invece ai giovani fa meno impressione, anche perché, rispetto ad altri tempi, è cambiato il modo di accostarsi alla droga.
Se una volta era vista come un fatto eccezionale, adottato prevalentemente da hippy e contestatori, oppure da eroinomani incalliti ed emarginati, oggi il consumo di droghe è diventato molto meno eccezionale e fa parte integrante della vita di un giovane.

Infatti «negli ultimi trent'anni – afferma un noto sociologo bolognese – una piccola rivoluzione si è consumata nel mon­do delle sostanze stupefacenti…  se in passato lo stupefacente era letto come uno strumento per lenire le sofferenze psicologiche inferte da un sistema sociale rispetto il quale ci si sentiva estranei ed emarginati, oggi parrebbe divenire un mezzo per godere più pienamente di certe situazioni vissute come piacevoli ed in cui, per certi, versi si gioca (o si tenta di gioca­re) il ruolo di protagonisti.
Insomma, da strumento per attenuare il dolore, la droga verrebbe sempre più utilizzata ed interpretata nei termini di un mezzo volto ad intensificare il piacere» (Cipolla).
Questo cambio della rappresentazione sociale della droga segna uno spartiacque tra la mentalità degli adulti e delle persone perbene, e quella dei giovani e degli studiosi. Oggi la droga è considerata come un passatempo, o – meglio – un ingrediente attraverso cui cercare di rendere più piacevoli le attività del proprio tempo libero.

Ciò non vuol dire che le droghe facciano bene, solamente si vuole sottolineare che esse vanno considerate in un quadro più complessivo, comparabile a qualsiasi altro consumo di sostanze voluttuarie (come l’alcol, la sigaretta, il caffè…) che, pur recando dei danni all’organismo, sono normalmente accettate per il piacere che procurano, purché consumate in modo equilibrato, senza compromettere la salute e la capacità di risposta dell’organismo agli stimoli ambientali.
E’ evidente che per gestire bene l’assunzione di stupefacenti, massimizzando il piacere e minimizzando gli effetti negativi della sostanza, bisogna riuscire ad evitare quelle che sono le trappole dell’addiction (dipendenza):

  • cioè, secondo il DSM-IV(Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali),«la difficoltà a gestire l'uso della sostanza, intesa come la tendenza ad utilizzare la droga in quantità e per periodi maggiori a quelli desiderati dall'individuo.
  • in secondo luogo la quantità di tempo dedi­cata all'utilizzo della droga, così come al riprendersi dai suoi effetti, a di­scapito di altre attività come ad esempio quelle lavorative, domestiche e ri­creative.
  • infine il persistere nel consumo nonostante le conseguenze negati­ve percepite sia a livello psicofisico, sia a livello sociale (crisi di autostima, perdita di amici, problemi famigliari, lavorativi, ecc.)»

Insieme al cambio nel modo di consumare le droghe va registrata anche la crescita degli atteggiamenti di policonsumo. Vale a dire una tendenza maggiore da parte dei consumatori a mischiare sostanze diverse nell'arco di una stessa serata.
Secondo alcuni, i comportamenti di polias­sunzione rappresenterebbero indicatori di maggior incoscienza e superficia­lità dei giovani nei confronti delle droghe, di una loro sconsideratezza en­demica che li condorrebbe ad un banale apprezzamento dello sballo per lo sballo.

Tuttavia i comportamenti “poliassuntivi” potrebbero invece costituire delle «precise strategie individuali e/o di gruppo finalizzate ad alterare la coscienza in modo funzionale alle esigenze impli­cite nel contesto ricreativo: alcool e cocaina ad inizio serata per sciogliersi un po' ed acquisire così il giusto umore, ecstasy e speed durante il party per accrescere le gioie della danza e della comunicazione tattile", cannabise/o oppiacei al termine della notte per sedare gli effetti collaterali dell'indigestione di eccitanti ed avere così un "atterraggio" più morbido possibile.
E’ in questo senso che credo sia possibile pensare i comportamen­ti poliassuntivi in termini complementari all'idea ricreazionale di consumo. Proprio nella misura in cui la droga deve servire per accrescere la piacevo­lezza delle pratiche del loisir, ecco la necessità di combinare "razionalmen­te" più sostanze a seconda delle situazioni ricreative in cui si trova» (Cipolla).

Perché il consumo sia davvero un consumo ricrea­zionale occorre infatti che anche le sostanze psicoattive ricadano sotto l'ombrello della ragione. Che sia la ragione cioè a gestirne l'utilizzo; che, tramite la sua razionalità, l'individuo riesca finalmente ad inserire effica­cemente anche il consumo di droga nel libero calcolo della sua felicità. Indice del successo di quest'impresa è dato dalla permanenza dell'individuo nelle sue posizioni di ruolo, dalla capacità di rispondere efficacemente alle attese altrui nei suoi riguardi.

Il problema che si pone allora è: fino a che punto è possibile un uso ricreazionale e razionale degli stupefacenti e quando questo invece diventa “problematico” o “patologico”, soprattutto in soggetti ancora in evoluzione? E’ possibile controllare razionalmente l’uso della droga come si controlla l’uso degli alcolici, delle sigarette, del caffè?

Questi sono alcuni dei problemi che pone questo nuovo tipo di approccio, insieme all’altro grande problema, più morale che sanitario: è corretta questa nuova rappresentazione del piacere dell'individuo basato sulla razionalità, che lo considera lecito fino al punto in cui non collide con la libertà e l'autonomia del soggetto?

Temi di cui ci occuperemo nel prossimo articolo.