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IL SACERDOTE UOMO PER GLI ALTRI

di Piero Gheddo

Mi sono reso conto che la prima virtù del missionario, la più apprezzata anche dai pagani, è la carità, il sorriso, il senso di paternità che ci rende disponibili ad interessarci degli altri.
Mons. Pirovano lanciava un appello da Marituba per ricevere aiuti economici e ringraziava per quelli che già aveva ricevuto; ma poi aggiungeva: "Credetemi i soldi sono importanti specie in questo luogo, ma è molto più importante il calore umano e cristiano. Gli stessi miei  lebbrosi contano più sulla mia amicizia, sul mio sorriso, (mi chiamano il vescovo del sorriso!), che non sul mio portafoglio. Non è bello? Questo vale i piccoli sacrifici che si devono affrontare ogni giorno. Vale la pena di vivere così!".
La carità è la prima testimonianza cristiana che i nostri contemporanei apprezzano, virtù di cui il sacerdote deve essere testimone in sommo grado. Perché noi preti dobbiamo rappresentare Cristo, essere "alter Christus" e Gesù è venuto al mondo appunto per portarci l'immagine concreta della paternità e dell'amore di Dio per l'uomo. Ma l'amore è multiforme e comprende: accoglienza, sorriso, aiuto a chi ha bisogno, distacco dal denaro, misericordia, cordialità, bontà, consolazione dei malati, disponibilità ad ascoltare gli altri e alla direzione spirituale, ecc. Il sacerdote deve essere "un uomo per gli altri" come Gesù: preoccuparsi più degli altri che di se stesso. Dobbiamo esaminarci su questo: se io non fossi contento della mia vita sacerdotale, vuol dire che non sono abbastanza "uomo per gli altri"!
Per parlare della carità del sacerdote occorre ripartire da Gesù "Buon Pastore", che conosceva e amava le sue pecore una ad una, inseguiva quelle che uscivano dal gregge, le amava tutte e per esse ha dato la vita.
E' sempre vero, in ogni tempo e luogo, quel che Giovanni Paolo II ha scritto ella "Redemptoris Missio", l'enciclica missionaria del 1990 (25 anni dopo l'Ad Gentes): "L'amore resta il movente della missione ed è anche l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. E' il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere" (n. 60).
Paolo VI nel 1975 aveva scritto una "lettera apostolica" intitolata (se ben ricordo) "L'apostolato del sorriso", breve ma molto bella, nella quale diceva che oggi, nel nostro mondo evoluto, tecnicizzato, ricco, non si sa più sorridere, non si sa più dire grazie, si è perso il senso della compassione cioè il patire-con espressa da Gesù quando vide le folle e "sentiva compassione perché sono come pecore sbandate senza pastore". La carità cristiana comprende anche il sorriso, l'ottimismo, la virtù della speranza.