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La preghiera salesiana: Mi insegno'- a scuola di preghiera

di Don Erino Leoni Sdb

Si comunica solo ciò che si ama, solo ciò che si ha nel cuore, solo ciò che davvero è importante per la nostra vita. Nell’esperienza educativa, si “passa”, si comunica, si radica solo ciò che è diventato carne della nostra carne, vita della nostra vita. Come il respiro che è così “vitale” per noi che non ce ne accorgiamo più. Ma, per la sua presenza, viviamo.

L’amicizia con Dio, il riferimento a Lui, la preghiera sono una di quelle cose nella vita che dicono quante le abbiamo fatte nostre, sangue per le nostre vene, alimento per la nostra vita.

 

La testimonianza di Don Bosco

Mamma Margherita non insegna a pregare, come una brava docente. Questa contadina, prega! Prega con i suoi figli e comunica l’ardore per Dio. Il primo caposaldo per la sua vita. È a questa scuola, come nel principio dei vasi comunicanti, che cresce Giovannino. Lui e i suoi fratelli ricevono come dono dalla loro madre il desiderio di Dio e la gioia di incontrarlo.

“Sua massima cura fu di istruire i suoi figli nella religione, avviarli all’ubbidienza ed occuparli in cose compatibili a quella età.  Giovanni comprende la cura che sua madre mette in questa scuola “divina”. Non la lascia ad altri la docenza dello Spirito. La riserva a sé.

 

“Finché era piccolino mi insegnò Ella stessa le preghiere”.

Margherita riserva a sé il compito di educare alla fede, lo sceglie come primo compito, lo fa con cura. E si preoccupa che non sia una cosa formale ma che diventi vita. E la verifica di una preghiera autentica è assumere il modo di vivere di Gesù: l’ubbidienza. Pregare è dire di sì a Dio. Pregare è accogliere la vita e quanto in essa è racchiuso. Pregare è obbedire alla Sua chiamata.  

“Appena divenuto capace di associarmi co’ miei fratelli, mi faceva mettere con loro ginocchioni mattino e sera e tutti insieme recitavamo le preghiere in comune colla terza parte del Rosario.”

 

“Appena divenuto capace…”

La preghiera è dialogo amoroso fra chi ama e chi si sente amato.

Ma come ogni dialogo lo si impara gradualmente: prima si chiama papà, poi si chiede con qualche monosillabo, si passa attraverso l’insistenza per giungere al ringraziamento sino a quando ormai maturi si impara anche a stare semplicemente in silenzio, in ascolto, per poi obbedire a chi si ama certi che il comando è il segno di un bene più grande che non so riconoscere e chi invece ha creato, scruta, e custodirà la mia vita sa qual è il mio vero bene.

 

“Associarmi co’ miei fratelli… e tutti insieme recitavamo le preghiere in comune”

Farlo insieme ai fratelli è fuoriuscire dall’isolamento, dalla vergogna (che poi don Bosco chiamerà rispetto umano) di dirsi figli di Dio e suoi discepoli. Pregare insieme in casa costruisce unità attorno a qualcosa di fondamentale. Che non sta in noi, nelle nostre deboli forze, nelle nostre buone intenzioni. Pregare insieme è dirci “solo Lui è Dio, da Lui proviene ogni dono, ogni bontà, la forza di volerci bene”.

 

“…mi faceva mettere con loro ginocchioni”

La preghiera è dialogo che coinvolge tutto di noi. Il nostro corpo parla, quanto le parole. Anzi il corpo deve corrispondere alle parole, pena una divisione in noi. E così il porsi in ginocchio mette in luce, manifesta, esprime ciò che diciamo con la lingua. Fa riconoscere chi è il più grande. Grida nella fatica del piegarsi la nostra piccolezza. Annuncia con tutto ciò siamo che solo Dio è il Signore, il Re, il Creatore, datore di ogni dono. Il corpo parla, conferma o nega: con la sua compostezza o la sua svogliatezza, con la sua cura o la sua sopportazione, con la sua bellezza o con il suo rilassamento.

 

 

 

“…mattino e sera”

Farlo regolarmente all’inizio della giornata e al suo chiudersi è ricordarsi al sorgere del giorno che tutto verrà da Lui come dono e quando cala il sole che tutto acquista senso se guardato alla sua luce. Preghiera che dilata il cuore, gli occhi, la vita ad accogliere la sua Grazia. Preghiera che benedice, ringrazia, loda per Tutto.

Al mattino è preghiera di invocazioni “donami Signore di fare tutto secondo la tua volontà, perché questa è la Tua e la mia gioia… Donami di vivere da cristiano, sulla Tua misura, donami la capacità e la forza di amare come hai fatto Tu”.

Alla sera è preghiera di ringraziamento, di richiesta di perdono, di consegna di tutto nelle Sue mani: “grazie per ciò che mi hai donato, tutto è stato un dono… anche quello che non ho compreso. Abbi misericordia per le volte che non Ti ho reso presente nelle situazioni, nelle fatiche, nelle gioia. Perdonami se al centro c’è stato il mio “io” e non Tu mio Dio. A te consegno tutta la mia vita, quella dei miei cari, quella del mondo”.

Alla scuola di preghiera di mamma Margherita, Giovannino Bosco comprende: che la preghiera non è solo una cosa da fare ma è essenzialmente un modo di vivere; che la preghiera coinvolge tutto noi stessi; che pregare insieme costruisce e porta al cuore di Dio che è comunione; che pregare chiede tempo per poi avvolgere ogni istante.

Questa è la scuola “divina” della Cascina dei Becchi. Scuola semplice e profondissima insegnata dalla cattedra di una vita perché: si impara ad amare solo da chi ci ama. Così a pregare: si apprende solo da chi prega.