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L'amore umano e divino di Gesu'

di Don Pascual Chávez Villanueva

Ciò che oggi celebriamo nella solennità del Sacro Cuore di Gesù è l’esaltazione dell’Amore.
Tale festa ci mostra infatti che tutto è dovuto all’amore, cominciando dal disegno originale di Dio e dalla creazione, fino alla redenzione e alla pienezza eterna della comunione in Dio.
Tutto questo splende in modo singolare nel cuore di Gesù.
È quanto abbiamo pregato all’inizio nella prima parte della orazione colletta: “O Padre, nel Cuore del tuo dilettissimo Figlio ci dai la gioia di celebrare le grandi opere del suo amore per noi”.
Inoltre dobbiamo aggiungere, come diceva il Papa Paolo VI, che il mistero della Chiesa non “può essere compreso come si deve, se i fedeli non portano la loro attenzione a questo amore eterno del Verbo Incarnato, di cui il Cuore di Gesù ferito è simbolo luminoso”.
In coerenza con ciò, il Concilio Vaticano II affermava che Gesù amò con cuore umano, indicando così l’oggetto di questo mistero: il cuore di Gesù in quanto segno e prova del suo amore umano e divino (Cf. GS 22). 

Il fondamento evangelico di questo amore è ciò che ci presenta il testo del vangelo di Giovanni, secondo il quale tutti gli uomini sono attirati da Cristo che, come agnello pasquale, si è offerto per la salvezza del mondo, con una fecondità spirituale meravigliosa, capace di rendere possibile la nascita di una nuova umanità, che ha origine proprio dallo stesso cuore di Gesù. 
«Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate».
Raramente nei Vangeli sono usate parole così forti, in riferimento a qualche fatto riguardante la vita di Gesù; si tratta perciò di un avvenimento di straordinaria importanza.
Dice il vangelo: «Venuti i soldati da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe; e uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua».
L’avvenimento dunque è duplice: l’apertura del fianco di Cristo crocefisso e l’uscita da questa apertura di sangue ed acqua.
Grande è veramente il mistero racchiuso!
La ferita inferta al costato è prima di tutto una porta aperta nella carne di Cristo, che ci consente di entrare in Lui e nel suo mistero.
In questo modo noi, come dice l’Apostolo Paolo, siamo in grado “di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo”.
L’apertura del suo fianco ci manifesta definitivamente il suo cuore, i suoi pensieri, i suoi progetti, i suoi sentimenti.
Attraverso un suo profeta, Dio ci aveva detto: “Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò”. La ferita inferta al costato è anche fonte da cui sgorga sangue e acqua.
Dal Cuore di Cristo viene effusa l’acqua che dona la vita e il sangue che purifica.
Nel deserto il popolo di Dio ricevette l’acqua da una roccia che, colpita, si aprì e da cui scaturì un fiume; nel pellegrinaggio della nostra vita la roccia che è Cristo si è aperta e da essa sgorga l’acqua che ci disseta.
Gesù l’aveva promesso alla Samaritana. È l’acqua dello Spirito Santo. E al contempo dal costato esce anche sangue: cioè il sacramento dell’Eucarestia che ci consente di partecipare sempre all’amore del Crocifisso.
Ascoltiamo quanto insegna al riguardo S. Agostino nel suo commento al vangelo di Giovanni: «Nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa ... Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati; quell’acqua tempera il calice della salvezza ed è insieme bevanda e lavacro ... Il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché così, con il sangue e l’acqua che sgorgano dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c’è di più puro di questo sangue? Che cosa c’è di più salutare di questa ferita?» (In Iohannis Evangelium, 120,2).

Il Cuore di Gesù sta quindi a simboleggiare l’immenso amore con cui il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito Figlio e allo stesso tempo l’amore infinito di Gesù che “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1).
Lui stesso descriverà in questa maniera la sua morte, come espressione suprema di amore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Se è vero che, a livello biologico, il cuore non ha niente a che fare con l’amore, ma piuttosto con la vita, usato metaforicamente il simbolo del cuore diventa carico di significato.
Infatti l’amore è forza che dà vita, più del cuore stesso. L’amore è, dice San Paolo nella lettera ai Corinzi, l’unico carisma capace di sopravvivere alla morte, proprio perché è più forte della morte. Questo è il suo primato, questo è il suo valore assoluto, tolto il quale neppure i più grandi carismi servono a niente: “Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sono nulla” (1 Cor 13, 2).
Va anche detto che l’amore è il dono più esigente, perché non può essere comperato con nulla e può essere ripagato soltanto con l’amore.
Questo è il significato dell’eloquente brano di Osea, in cui il profeta fonde insieme la tenerezza e la passione di Dio: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”.
Gli uomini amati da Dio, colmati di amore e di cure, non hanno corrisposto, ma Dio che, come dice il profeta, “è Dio e non uomo”, ama appassionatamente e col suo amore vince ogni ingratitudine; anzi, Egli salverà gli uomini, facendoli maturare nell’amore. 
Il Cuore, come simbolo dell’amore di Gesù che “ci amò sino a dare se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2), diventa l’espressione più sublime e definitiva dell’amore umano e divino di Gesù per ognuno di noi.
Così Paolo sperimentò l’amore di Cristo, giungendo a scrivere queste sublimi parole: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi 3siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.
Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35-39).
Ed era proprio questo amore che spingeva Paolo ad amare i suoi con affetto profondo e dedizione zelante. Egli diceva ancora: “Caritas Christi urget nos”.
La devozione al Sacro Cuore di Gesù forse dovrà trasformarsi, purificarsi da ogni espressione sentimentale, arricchirsi biblicamente e teologicamente, ma deve essere conservata e diffusa come manifestazione suprema dell’amore sensibile e umano di Gesù che si è donato al Padre e a noi.
Potrebbe diventare una devozione giovanile, capace di attirare i giovani, così attenti all’amore e al simbolo del cuore, e portarli ad “attingere con gioia alle sorgenti della salvezza”, che si trova soltanto nell’amore vero, quello che si fa oblazione di sé e non possesso degli altri. 

Per noi salesiani questa devozione è stata così familiare da essere assimilata all’icona del Buon Pastore, “che conquista con la mitezza e il dono di sé” (C. 11), e alla carità pastorale (C. 14).
La riflessione sulla vita di Don Bosco ci permette di verificare fino a che punto il nostro caro Padre e Fondatore si è ispirato in modo cosciente alla carità del Cristo. 
Sembra opportuno qui richiamarci allo stemma della Congregazione, che reca l’immagine di San Francesco di Sales e quella di un cuore da cui escono fiamme, e all’art. 4 delle Costituzioni che ricorda appunto lo ‘zelo’ di San Francesco di Sales.
La carità apostolica, che è al centro del nostro spirito, corrisponde esattamente a ciò che il nostro Patrono chiamava, secondo il linguaggio del tempo, ‘devozione’.
È valido dire perciò che la devozione al Sacro Cuore è molto salesiana; segno di questo non sono soltanto la dedizione di Don Bosco per portare a termine la costruzione della Basilica del Sacro Cuore a Roma, e il cuore che appare nello stemma, ma anche l’intitolazione al Sacro Cuore di tutte le case di formazione della Congregazione, appunto perché al centro del nostro spirito si trova la carità pastorale, che “trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo”, e che è “uno slancio apostolico che ci fa cercare le anime e servire Dio solo” (C. 10).
(Omelia nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù) 
Omelia di Don Ferdinando Colombo - Giugno 2013
Testimonianza di Claudia Koll - Giugno 2013
Concerto festa Sacro Cuore - Giugno 2013