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Anno della Fede: Quando la fede diventa testimonianza

di Don Ferdinando Colombo

 

L’anno della fede ci incalza a proseguire nel cammino di profonda identificazione a Cristo come annunciatore della presenza del Regno di Dio in mezzo a noi e a fare nostro il suo invito alla Conversione. 

Mentre prendiamo coscienza che il cammino della fede è una progressiva identificazione con Cristo fino a poter esclamare con San Paolo “Non son più io che vivo: è Cristo che vive in me. La vita che ora vivo in questo mondo la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e volle morire per me”.(Galati 2,20) ci rendiamo conto che attorno a noi cresce silenziosamente il popolo di coloro che hanno accolto l’invito a prendere ogni giorno la croce e a seguirlo.

Siamo tralci vivi di una vite feconda, siamo figli prodighi che il Padre ha accolto e abbracciato per introdurci nell’unica casa, siamo pecore sottratte alla solitudine individualistica del nostro egoismo per farci gustare il calore dell’unico ovile, la Chiesa, dove Lui è via, verità e vita.

Cristo e Chiesa si richiamano e illuminano vicendevolmente.

 

La testimonianza

Nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli si racconta che la caratteristica più significativa che i pagani notavano guardando la comunità dei credenti era che si amavano tra di loro. Attirati da questo inusuale comportamento i pagani si accostavano a chiedere ragione della loro fede. Si verificava allora l’incontro tra il desiderio di conoscere e di capire dei pagani e la schietta testimonianza dei credenti. Il risultato è che a migliaia chiedevano il Battesimo per poter far parte di questo cammino di salvezza.

Noi viviamo una situazione molto diversa caratterizzata da disgregazione sociale e perdita del senso religioso, ma i passaggi logici e psicologici che possono generare la fede rimangono i medesimi ben sintetizzati da San Paolo nella lettera ai cristiani di Roma al capitolo 10: “Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c'è chi lo annunci? E come annunceranno se non sono mandati? Com'è scritto: «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunciano buone notizie!»
Capovolgiamo l’ordine di queste domande e trasformiamole in azioni. Noi abbiamo ricevuto la buona notizia, il Vangelo di Cristo morto e risorto e gli abbiamo creduto. Al termine di ogni Sacramento celebrato risuona il mandato: andate e ditelo a tutti. Forse è proprio qui che s’inceppa il meccanismo della trasmissione: da parte nostra temiamo di violare lo spazio sacro delle libere scelte, da parte dei nostri interlocutori non c’è il desiderio di ascoltare parole a cui non corrispondano fatti concreti di amore, di servizio, di perdono, di pace. Paolo Vi, il Papa che ha chiuso il Concilio vaticano II diceva: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni».

 

La modalità dell’annuncio

Non potendo cambiare di colpo il modo di pensare dei non credenti concentriamo l’attenzione sul nostro modo di testimoniare, di annunciare. È ancora San Paolo, nel medesimo brano che ci ricorda che avendo creduto possediamo un grande tesoro che richiede interiorità: “La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore”.  Ma ci rafforza la promessa che lo Spirito Santo vivendo nei nostri cuori ci guida alla verità tutta intera.

Poi ci fa prendere coscienza che siamo noi i primi destinatari dell’annuncio, siamo noi a doverci convertire e mettere al centro della nostra vita il mistero pasquale di Cristo salvatore:”perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati.

Solo a questo punto ci addita il mondo intero, persone di ogni razza e cultura, superando ogni pregiudizio culturale ed ogni presunzione di essere noi i migliori, chiedendoci di prendere sul serio l’universalità del Sacrificio di Cristo che vuole salvare tutta l’umanità, le persone che hanno già conclusa la loro esperienza terrena, noi che viviamo il brevissimo tempo della nostra esistenza e le generazioni che verranno.

Dovrebbe lusingarci e responsabilizzarci il fatto che Gesù non manda angeli a compiere questo annuncio, ma lo affida a noi, ha bisogno di noi, annuncia con noi perché la salvezza raggiunga tutti e ciascuno: “Difatti la Scrittura dice: «Chiunque crede in lui, non sarà deluso». Poiché non c'è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano.  Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato.

Il credente è missionario per il solo fatto di essere stato raggiunto gratuitamente dall’amore di Cristo. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.