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Bicentenario della nascita di Don Bosco: Don Bosco inventa la Formazione Professionale

di Redazione

Quando Marx pubblicava il Capitale, Don Bosco a Torino era già impegnato da anni a difendere i diritti dei piccoli lavoratori nei confronti di una società che alla prima industrializzazione non pensava ancora alla Formazione Professionale.

L’utilità e le necessità dei laboratori e delle scuole di arti e mestieri nell'Oratorio di Don Bosco sono il frutto maturo della passione educatrice di Don Bosco che voleva una educazione integrale utile per la vita che Don Bosco condensava nella frase: «Vi voglio felici ora, vi voglio felici domani, vi voglio felici sempre».

È lo stesso Don Bosco che a varie riprese ha motivato le ragioni che lo indussero ad affiancare alle sue scuole domenicali e serali, iniziate nel 1845, e alla «Società di mutuo soccorso», fondata nel 1850, i laboratori interni: «Non avendosi ancora i laboratori nell'istituto — egli scrive — i nostri allievi andavano a lavorare e a scuola a Torino, con grande scapito della moralità, perciocché i compagni che incontravano, i discorsi che udivano e quello che vedevano, facevano tornare frustraneo quanto loro si faceva e si diceva nell'Oratorio».

 

La nascita dei laboratori

Fu precisamente nel 1853, in un ristretto locale di Valdocco che Don Bosco prese a realizzare la sua iniziativa dei laboratori.

Preoccupato dei bisogni materiali, intellettuali e morali di un discreto numero di ragazzi e di giovani lavoratori, Don Bosco si era già adoperato per trovar loro qualche occupazione presso botteghe artigiane di Torino, giungendo a concludere spesso speciali contratti di apprendistato. Si conservano nell'Archivio centrale salesiano le copie di quelli stipulati a favore dei giovani Giuseppe Bordone (1851), Giuseppe Odasso (1852), Felice Paoletti (1855).

Ma quel mandare ogni giorno i suoi giovani nelle botteghe e nelle officine si era rivelato incomodo e pieno di rischi: «Ben presto Giovanni Bosco si accorse che un tal genere di intervento non rispondeva affatto alle esigenze della psicologia giovanile, alle finalità dell'educazione cristiana e nemmeno alle esigenze produttive della società contemporanea. Nei confronti della realtà giovanile, un intervento di soccorso a breve ed anche a medio termine era in grado di affrontare e risolvere il bisogno urgente immediato, ma non il problema dell’avvenire.

 

Ogni tipo di lavoro

Nel 1850 si cominciò a provvedere ai laboratori per i calzolai e i sarti. Don Bosco si affrettò a scrivere un appropriato «Regolamento dei laboratori» per i rispettivi maestri d'arte. Essi avrebbero dovuto «istruire gli apprendisti e far sì che non mancasse lavoro». L'anno seguente si aggiunse il laboratorio di legatoria che, nel giro di un anno, era già in grado di ricevere commissioni di lavoro. Alla fine del 1856 si inaugurò il laboratorio per falegnami. Per i laboratori di tipografia e dei fabbri ferrai, pur essendo nei desideri e nei progetti di Don Bosco fin dagli inizi, dati il costo e la complessità delle macchine e degli attrezzi e l'esigenza di locali adeguati, si dovranno attendere gli anni Sessanta. Il suo storico don Lemoyne accenna pure a locali destinati a tintori e cappellai.

Un quadro completo dei laboratori esistenti nell'Oratorio lo si può dedurre da un «Riassunto della Pia Società di San Francesco di Sales» del 23 febbraio 1874, redatto per la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in vista dell'approvazione delle Costituzioni: «Gli artigiani — vi è scritto — in vari laboratori dello Stabilimento esercitano il mestiere di calzolaio, sarto, ferraio, falegname, ebanista, pristinaio, libraio, legatore, compositore, tipografo, cappellaio, musica, disegno, fonditore di caratteri, stereotipista, calcografo e litografo».

 

L'esperienza lavorativa di Giovanni Bosco

L'attitudine e la sensibilità per un così vasto raggio «artigianale» non furono di certo improvvisate. L'esperienza giovanile e personale di Don Bosco vi giocarono un ruolo importante.

A 15 anni, frequentando le scuole pubbliche a Castelnuovo, ebbe modo di passare attraverso un apprendistato di musica e di cucito presso «l'onest'uomo» Roberto Giovanni che lo teneva a pensione: «Mi diedi con tutto il cuore all'arte musicale — scriverà nelle 'Memorie' — ma anche ad apprendere il mestiere di sarto... In brevissimo tempo divenni capace di fare i bottoni, gli orli, le cuciture semplici e doppie. Appresi pure a tagliare le mutande, i corpetti, i calzoni, i farsetti; e mi pareva di essere divenuto un valente capo sarto».

A Chieri, negli anni 1833-34, per mantenersi agli studi si adattò a lavorare come garzone di caffè e in poco tempo vi si immedesimò talmente da far suoi i segreti del suo datore di lavoro: «Alla metà di quell'anno io ero in grado di preparare caffé, cioccolatte; conoscere le regole e le proporzioni per fare ogni genere di confetti, di liquori, di gelati e di rinfreschi».

Gli impegni scolastici gli consigliarono piuttosto lavori domestici e non eccessivamente pesanti, ma appena sopraggiungevano le vacanze, nonostante la talare da seminarista, si dedicava ad attività virili ed impegnative.

L'esperienza del lavoro manuale rese Don Bosco capace di comprenderne il valore ai fini di una corretta e completa formazione umana. Nonostante i suoi studi seminaristici, non svalutò mai le attività profane quasi bisognasse guardarsene per non compromettere dignità e spirito ecclesiastico.

Don Bosco aveva del lavoro un'alta stima per la sua valenza sociale ed educativa. Il lavoro sviluppava nei giovani il senso della solidarietà verso i compagni, specialmente nei momenti del pericolo morale e del bisogno materiale, e li abituava al confronto e alla responsabilità.