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Don Bosco, la Cina, il martirio di Mons. Luigi Versiglia e Don Callisto Caravario

di MARIO SCUDU SDB

“Don Bosco  sognò della Cina,e, vide due calici: uno pieno di sudore e l’altro di sangue dei suoi figli”. Cosi parlo’ a Macao  il superiore  della Missione dei Salesiani in Cina Mons. Versiglia  ai nuovi arrivati che partirono il 20 giugno del 1918  da Valdocco  diretti a Shiu-chow-  Sin dal 1873 Don Bosco aveva comunicato a Pio IX dell’idea di fondare una scuola di arti e mestieri ad Hong Kong. Ed ancora nel suo testamento così scrive di missioni in Cina: “A suo tempo si porteranno le nostre missioni nella Cina precisamente a Pechino. Ma non si dimentichi che noi andiamo per i fanciulli poveri ed abbandonati. Là tra popoli sconosciuti ed ignoranti del vero Dio, si vedranno le meraviglie finora non credute, ma che Dio potente farà palesi al mondo”. A soli 22 giorni dalla sua morte,l’8 gennaio 1888,Don Bosco parlava ancora delle missioni in Cina al duca di Norfolk,che andò  a trovarlo e stava in ginocchio “presso il letto dei suoi dolori”.

Don Versiglia,(martirizzato nel marzo del 1930 ). dal 1915 si era molto prodigato affinchè i Salesiani avessero  in Cina una Missione completamente autonoma e tutta Salesiana,cosa che avvenne  tre anni dopo   con ben undici  distretti, quelli di Shiu-Chow, assegnati dal Vicario apostolico di Canton.

In questa Provincia che fu già di Matteo Ricci per sei anni dal 1589, i Padri delle Missioni Estere di Parigi dal 1850 avevano  avviato otto residenze e cappelle,ma avevano solo cinque missionari. Il territorio era grande come il Piemonte,la Valle D’Aosta e la Liguria unite e la popolazione  di circa tre milioni di anime.

l’Italia, sino almeno al XVII secolo, fu l’attore principale in Occidente dei rapporti con l’universo Cina. Sarebbe infatti dimostrato come nessun Paese Occidentale  possa vantare una così lunga ed interessante Storia di relazioni con la Cina come l’Italia, sino almeno alla cosiddetta “Rivolta dei Boxers”  del 1899 che costrinse sette nazioni occidentali a mettere “sotto tutela” Pechino ed ampie zone del Paese. Il trattato di pace che ne seguì consentì alla Chiesa in Cina, di riprendere  la propria missione  e lo fece con grande slancio. E’ di questo periodo  lo sviluppo  anche delle missioni dei Salesiani a Shiu-chow ed il martirio di mons. Luigi Versiglia e Don Callisto Caravario.

Nel 1920 i cattolici cinesi erano duemilioni ed i sacerdoti mille; venne fondata l’Università “Aurora” a Shanghai e pubblicato il primo quotidiano cattolico. Le strutture sociali gestite dalla chiesa (scuole, ospedali, orfanotrofi, lebbrosari) si contavano in almeno quattromila,sparsi in tutto l’immenso Paese. Numeri che nel 1932 facevano pensare alla Comunità Cristiana Universale che ben presto l’intero popolo cinese si sarebbe indirizzato verso la conversione al cattolicesimo. La prima  svolta era avvenuta già nel 1922 con il Delegato Apostolico mons. Celso Costantini che portò le diocesi da 57 a 121 e quasi tutte governate da Vescovi locali,ben venti.
Il primo Presidente della Repubblica era un cristiano: Sun Yan-Sen e  Pio XII nel 1946 assegnava la Porpora Cardinalizia per la diocesi di Pechino a Mons. Tommaso Tian Gengxin  cinese di nascita, e sanciva la Costituzione della Gerarchia ecclesiastica ordinaria per tutta la Cina.
Purtroppo l’avvento della Repubblica di Mao Zedong  con la proclamazione dello Stato ateo  e la “fallimentare” si dice oggi,”Rivoluzione Culturale”, porto’ all’espulsione di tutti i Vescovi e di tutti i missionari,spesso prima con processi farsa,condanne a morte prima unite  a lunghe detenzioni.
Tutti i beni: chiese,conventi,collegi,scuole,lebbrosari,ospedali dei cattolici furono o chiusi o requisiti.E tutto ciò per oltre un ventennio, in cui le cosiddette “guardie rosse” sradicarono in modo totale la presenza cristiana distruggendo le innumerevoli opere che ne avevano segnato il cammino.

25 Febbraio: L. VERSIGLIA E C. CARAVARIO, martiri salesiani

MORTI PER LA FEDE E LA DIGNITA' DELL'UOMO

Ed è proprio accogliendo l’invito del Papa “a non dimenticare” il sacrificio e la testimonianza per il Vangelo che voglio ricordare i due protomartiri salesiani, mons. Luigi Versiglia e don Callisto Caravario, ad un anno dalla loro proclamazione a santi avvenuta a Roma il 1° ottobre, insieme ad altri martiri “cinesi”.
Questi due nostri fratelli sono stati martirizzati perché missionari cattolici (discepoli di Gesù Cristo e quindi predicatori del Vangelo). Ma sono anche martiri per avere difeso, fino a dare la propria vita, “la dignità dell’uomo”. Nel caso specifico per avere difeso alcune giovani alunne che viaggiavano con loro e che i pirati volevano portare via per ridurle in “schiavitù”... La difesa da parte dei due missionari salesiani si infranse contro i cinque colpi di fucile sparati dai pirati contro di loro.
Questo accadeva in Cina nel 1930, il 25 febbraio. Mons. Luigi Versiglia aveva 57 anni, e don Callisto Caravario, il suo giovane assistente e aiutante, solamente 27. Sacerdote solo da 7 mesi.

A Torino-Valdocco per “restare con Don Bosco”

È quasi impossibile arrivare al coraggio supremo di donare la propria vita “per coloro che si amano” come è nel caso di ogni martire, se non ci si è preparati ogni giorno, spiritualmente, al supremo gesto della vita. Insomma niente di grande nella vita si improvvisa, sia professionalmente sia spiritualmente. Così è stato di tutti i martiri che ricordiamo, così è stato di Versiglia e Caravario. Arrivarono pronti al martirio perché preparati, perché hanno voluto prepararsi gradualmente e costantemente.

Luigi Versiglia è nato a Oliva Gessi (Pavia) nel 1873. La fama di Don Bosco era già molto grande e aveva raggiunto questo paese. Luigi all’età di 12 anni acconsentì ad andare a studiare a Torino-Valdocco a condizione di non farsi prete. Varie volte fu sul punto di lasciare tutto e tornare al suo paese. Cambiò idea a poco a poco. La causa? Molto semplice: l’ambiente saturo di religiosità e di entusiasmo missionario e soprattutto la santità ed il fascino che emanavano da Don Bosco. Proprio dal grande santo dei giovani un giorno del 1887 Luigi si sentì dire: “Vieni a trovarmi, ho qualcosa da dirti”. Il colloquio non ci fu a causa della malattia del santo e della successiva morte. Ma il ragazzo fu conquistato lo stesso dal quel sorriso e da quella attenzione particolare. Infatti a 16 anni diventò Salesiano di Don Bosco con i primi voti. Incominciava così la sua grande avventura come religioso, poi come missionario e vescovo fino al martirio.

Prima tappa del suo curricolo salesiano a Torino-Valsalice, per gli studi della filosofia. Quindi a Roma per la laurea in filosofia. Don Luigi era un bravo studente, ma per lui non esistevano solo i libri che egli affrontava con intelligenza e costanza. Aveva anche un’importante attività pastorale con i ragazzi dell’Oratorio del Sacro Cuore, presso la Stazione Termini. Era ben voluto da tutti, per le sue doti di bontà ed entusiasmo. Finita la parentesi romana, fu inviato come insegnante e formatore dei novizi a Foglizzo vicino a Torino. Anche in questa esperienza brillò per le sue virtù quali l’affabilità, l’umiltà e la capacità di sincera amicizia. Nel 1895 dopo l’ordinazione sacerdotale fu chiamato ad essere il direttore e il maestro dei novizi questa volta a Genzano, presso Roma.

Intanto quel suo sogno di diventare missionario, che era sbocciato a Torino-Valdocco vedendo e ascoltando i missionari in visita alla Casa Madre salesiana o partendo nelle spedizioni annuali, maturava e cresceva sempre di più. Finché arrivò il grande giorno e la grande chiamata: partire per la Cina, guidando un piccolo gruppetto di missionari.

Era il 1905. Partì su invito e con la benedizione di Don Michele Rua (beato), il successore di Don Bosco alla guida dei Salesiani. Destinazione Macao. Era così diventato missionario. Il sogno si era avverato o meglio cominciava ad avverarsi. E don Luigi Versiglia missionario lo sarà sempre, in tutto ciò che farà. Fu missionario a piedi, sulle strade polverose e pericolose. Lo fu andando a cavallo, o in barca, o in portantina, e qualche volta anche in moto. Missionario sempre, con il cuore apostolico di Cristo, che cerca le pecorelle smarrite, fascia le ferite, ha una parola di conforto per tutti, con il carisma salesiano sempre presente.

Preparati al dono della vita nel martirio

Primo compito lavorare in un piccolo orfanotrofio della città. In 12 anni di lavoro don Versiglia con l’aiuto della comunità salesiana e su un terreno più vasto, trasformò l’orfanotrofio in una moderna scuola professionale per ben 200 alunni interni, quasi tutti orfani. Questi imparavano un mestiere ma non solo, ritrovavano nel nuovo ambiente un clima della loro famiglia perduta o mai conosciuta.
Trovavano nei salesiani che li seguivano tanti fratelli maggiori e in don Versiglia un padre ed una madre. È per questa sua dedizione totale e amorevole che egli si guadagnò il titolo di “Padre degli orfani”. Particolarmente curata era la vita spirituale proprio per l’impulso e la testimonianza di tutti ma specialmente del direttore dell’Istituto. Scrisse infatti il card. G. Da Costa Nunes, che allora era vescovo della città: “Don Versiglia esercitò un influsso straordinario sulla società di Macao. La cappella del suo istituto era un centro di pietà, che influì molto sulla vita religiosa dei cattolici a Macao”.

Ordinato vescovo nel 1920 gli fu assegnato come campo pastorale la Missione di Shiu Chow. Due anni dopo in visita a Torino-Valdocco si sentì dire da un salesiano: “Monsignore, la seguirò in Cina”. Era una promessa che il giovane faceva. Una promessa grande, coraggiosa, rischiosa. Che mantenne. Il giovane si chiamava Callisto Caravario. Era nato a Cuorgnè, non lontano da Torino, da una famiglia operaia, trasferitasi ben presto in questa città. Frequentò da ragazzo gli istituti ed oratori salesiani di S. Giovanni Evangelista, Torino-Valdocco e Torino-Valsalice. A 16 anni diventò salesiano. Anche lui con il sogno missionario: partì a 21 anni e non si volse più indietro. Alla madre scrisse delle lettere affettuosissime e nello stesso tempo piene di spiritualità, soprattutto del desiderio di diventare sacerdote. Lavorò con grande entusiasmo e dedizione prima a Timor, poi in Cina a Shangai e infine a Shiu Chow dove c’era Mons. Versiglia.

Fu proprio lui ad ordinarlo sacerdote nel 1929. In un delle lettere alla mamma, che condivideva con lui lo spirito missionario, scrisse: “Il tuo Callisto non è più tuo, deve essere completamente del Signore”. E aggiungeva, quasi come un presentimento: “Sarà breve o lungo il mio sacerdozio? Non lo so, l’importante è che io presenti al Signore il frutto dei doni ricevuti”.

I doni che Callisto Caravario aveva ricevuto dal Signore erano tanti: doni di intelligenza, di bontà, di pietà, di umiltà, di generosità apostolica. Ed anche il dono della vocazione missionaria. Tutti questi doni ebbero in lui un autentico e intelligente amministratore; i tanti talenti nelle sue mani furono coltivati e fatti fruttificare al massimo. Fino all’amore più grande, quello di donare la vita.

L’occasione arrivò il 25 febbraio 1930. Dopo sette mesi di lavoro missionario a Linchow alcuni giorni prima don Callisto era sceso a Shiu Chow per accompagnare il vescovo Mons. Versiglia nella visita pastorale alla diocesi. Scrisse la sua ultima lettera alla mamma: “Come si sente che siamo nelle mani di Dio! Fatti coraggio mamma. Nulla ti spaventi. Passerà la vita e finiranno i dolori: in paradiso saremo felici”. Presentimento della sua prossima fine? Parole di circostanze? Forse no. Ma il passo supremo e la cifra di ogni dolore, la morte, doveva ancora essere affrontato. Ancora pochi giorni e tutto si sarebbe compiuto. Callisto era preparato anche al dono della vita per Dio e per il prossimo.

Il 23 febbraio a sera Mons. Versiglia diede la Buona Notte ai ragazzi dell’Istituto Don Bosco. Disse loro che stavano per “affrontare un viaggio lungo lungo”. La tristezza calò rapida su quei volti giovani. Temevano di perdere il loro padre così buono con loro. Allora Mons. Versiglia soggiunse: “Se non ci sarà dato di vederci in questo mondo, possiamo almeno trovarci tutti in paradiso”.

La tragica morte li aspettava lungo un fiume. Ma erano preparati a dare la vita per la loro fede in Dio e per difendere la dignità di quelle giovani. Il loro “viaggio lungo lungo” era finito. Dio li aspettava con le braccia aperte.

                                                             MARIO SCUDU SDB

Dall’ OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 15 maggio 1983

…  I due Martiri Salesiani hanno dato la loro vita per la salvezza e l’integrità morale del prossimo. Si posero infatti a scudo e difesa della persona di tre giovani alunne della missione, che stavano accompagnando in famiglia o sul campo dell’apostolato catechistico.

Essi difesero a prezzo del loro sangue la scelta responsabile della castità, operata da quelle giovani, in pericolo di cadere nelle mani di chi non le avrebbe rispettate. Un’eroica testimonianza, dunque, a favore della castità, che ricorda ancora alla società di oggi il valore e il prezzo altissimi di questa virtù, la cui salvaguardia, connessa col rispetto e la promozione della vita umana, ben merita che si metta a repentaglio la stessa vita, come possiamo vedere e ammirare in altri fulgidi esempi della storia cristiana, da sant’Agnese fino a santa Maria Goretti.

… Ma un altro pensiero s’impone alla nostra attenzione. Nello sfondo di questo tragico e grandioso episodio si collocano con evidenza due concezioni della donna tra loro inconciliabili: o la donna come persona, responsabilmente protesa all’attuazione della sua dignità morale, e convenientemente facilitata e protetta in ciò dall’ambiente umano e sociale: ed ecco la scelta dei due Martiri e delle tre giovani ad essi affidate; oppure la donna come oggetto e strumento del piacere e degli scopi altrui. Ecco allora la scelta degli uccisori.

Queste due opposte concezioni della donna hanno, nella Scrittura e nella Tradizione cristiana, una stretta relazione con la figura di Maria santissima, della quale sono rispettivamente la fedele incarnazione e la totale negazione. I due Martiri da tempo avevano forgiato la loro concezione della donna e della sua dignità alla luce del modello mariano. Lo scontro con gli aggressori, per quanto subitaneo e imprevisto, li trovava quindi pronti. Essi si spengono nella luce di Maria, che avevano filialmente onorato e predicato per tutta la vita.

Il viaggio che li porta all’immolazione inizia con la benedizione e sotto gli auspici di Maria Ausiliatrice, Patrona della Congregazione Salesiana. La fatale aggressione si scatena a mezzogiorno, dopo che la comitiva aveva salutato la Madre di Dio con la recita dell’Angelus. Questa dolce preghiera prepara la lotta vittoriosa contro le insidie del male. I nomi di Gesù, Maria e Giuseppe risuonano forti sulla bocca dei Pastori e delle pecorelle del gregge, non appena si profila l’aspro scontro con i nemici della fede e della purezza, che non intendono lasciarsi sfuggire la preda neppure davanti al delitto.