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La parola, la contemplazione e la preghiera

di Stefania S.

Sono passati davvero molti anni: mi sedevo in giardino, la sera, quando attorno a me tutto era silenzio, e guardavo il cielo, pure io in silenzio, a volte per ore.

Quel panorama infinito eppure sempre uguale a se stesso mi faceva entrare dentro di sé finché il mio cuore ritrovava le sue dimensioni, dilatandosi, e quel silenzio che mi si offriva in modo così disarmato interpellava in me parole che non sapevo esprimere e che pure entravano in un muto dialogo con lo spazio che non aveva confini.

Non so se era preghiera; mi venne il dubbio quando, tempo dopo, mi ritrovai davanti a parole che sembravano dare voce alla mia esperienza: i cieli narrano la gloria di Dio….che cosa è l’uomo perché ti ricordi di lui?
Certo altri uomini e donne, prima di me, avevano trovato il loro posto sotto il manto stellato del cielo e nella quiete della notte avevano imparato a sillabare parole di silenzio.
E non so se fu proprio quel cielo così mite e incapace di imporre anche solo la sua bellezza a mettermi in cuore la sete di parlare, di poter dialogare con l’autore di quell’armonia, il desiderio che Dio potesse essere raggiunto in qualche modo, o che mi raggiungesse lì dove le mie domande non riuscivano nemmeno a esprimersi…

Credevo, allora, che ci sarebbe stato un cammino, lungo certo, ma pieno di fascino, verso mete sempre più alte e più pure, come vette innevate che attirano con la loro bellezza incontaminata.
Non conoscevo ancora ciò che Dio dice a suo riguardo, come esprime i suoi gusti, le cose che ama e quelle che proprio non gli vanno giù, non immaginavo nemmeno quanto fosse capace di coinvolgersi, di rischiare nel dialogo con l’uomo. In breve, non conoscevo la Bibbia e la potenza della Parola, la forza dello Spirito che anima quelle pagine lasciando che continuino a stanarci attraverso i secoli.

Una canzone di tanti anni fa racconta che la luna decise di scendere sulla terra, stanca di stare lassù, e accorgendosi stupita che la distesa terrestre non era soffice neve ma duro sasso, decise di ritornare da dove era venuta.
La Bibbia raccontava un’altra storia, tutta diversa da quella della luna, una storia che narrava sì una discesa dal cielo ma senza più alcun ripensamento: raccontava l’incarnazione dell’Amore di Dio tra i ciottoli duri della nostra storia di peccato.

Leggere la Bibbia non è un’operazione indolore; ci misi molto tempo a rendermene conto. Le sue pagine raccolgono storie spesso paradossali, urtanti, dure e incomprensibili, o noiose e inutili e ripetitive, e anche quando c’erano episodi che mi affascinavano, avevo l’impressione di rimanere sulla soglia, non sufficientemente audace per reclamare il mio cibo di figlia amata.

Leggevo storie di sangue, di passioni, di famiglie divise da contrasti a volte persino cruenti, di pulsioni di dominio e di ribellioni: sesso, denaro, potere, egoismi e rivendicazioni…. Altro che cronaca nera! Lessi che una teologa, Stella Morra, spiegava tutto questo sostenendo che in questo modo chiunque può ritrovare nel testo biblico la sua storia, per quanto aberrante essa possa essere e così tuttora credo, dopo avere trovato nella Bibbia fratelli e compagni di viaggio, veri, fragili, peccatori perdonati o ladroni incalliti, ma sempre disposti a far parte con me della loro esperienza. Persone capaci di rimanere in dialogo con Dio attraverso percorsi discutibili, persone diventate icone di un Dio che continua a impastare l’uomo con la polvere della terra, sporcandosi le mani, e soffiando poi in esso il fuoco fremente del suo santo Spirito!

Davvero un percorso ben lontano da quello che avevo immaginato, in discesa anziché in salita: ero scesa dalle vette innevate e avevo sotto gli occhi la storia fragile dell’umanità che tra le dita di Dio diventava, come l’arcobaleno dopo il diluvio, segno di amore e di alleanza. Ma non bastava.

La potenza della Parola, cibo di ogni giorno, le vicende della vita, che sono le dita con cui il Padre continua a impastare la mia terra, le persone che mi ha messo accanto, le persone che certo hanno pregato per me anche se non lo so, tutto questo mi ha condotto a leggere dentro di me le stesse storie della Bibbia, a riconoscere che quel libro parla della mia vita, così com’è, non bella e ordinata come penso dovrebbe essere, che narra le mie vicende e che in questo percorso personale raccoglie la storia dell’umanità che è giunta fino a me.

Al mattino, quando posso, prendo in mano la Bibbia e, dopo avere chiesto l’aiuto dello Spirito, rileggo le letture della domenica.
Lascio che il cuore si appoggi su una parola piuttosto che su un’altra, cerco di non fare ragionamenti troppo astratti, o sermoni morali e nemmeno autoaccuse che niente hanno da spartire con la contrizione che ci apre alla misericordia, e lascio semplicemente che quella parola si accosti alla mia vita, la legga, la inserisca in un orizzonte più grande, non solo personale, ma di tutta l’umanità amata da Dio con passione irrevocabile.
Le risposte non vengono subito. Spesso vengono invece le domande, che aprono il cuore a ricevere, e che sono la spinta della preghiera.

Dopo anni di cammino posso dire che c’è un solo posto dove è meglio non stare, un luogo pericoloso che rischia di tarparci le ali, anche se Dio verrà a cercarci: è la soglia della casa paterna, una casa che risuona di musica e di danze, mentre lì, nel buio del tramonto, stanco di una giornata vissuta ancora da schiavo, il fratello maggiore si rode nell’amarezza e nel rancore, incapace, tanto quanto il fratello dilapidatore, di condividere le ricchezze della casa.