Share |

Articoli

torna all'elenco

III Domenica di Quaresima

di Antonio Rungi

Celebriamo oggi la terza domenica di Quaresima e il cammino verso la Pasqua diventa più impegnativo per ogni cristiano, in considerazione proprio della parola di Dio che ci viene proclamata nelle domeniche e nei giorni feriali. La ricchezza del testo sacro ci permette anche oggi di riflettere seriamente sul nostro essere cristiani e nella Chiesa. Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù Cristo piuttosto amareggiato per il comportamento di quanti al suo tempo avevano assunto nei confronti del tempio, espressione visibile della fede di Israele. Ne avevano fatto un mercato, un luogo di guadagni immorali e disonesti, quando in realtà doveva essere luogo della lode, del culto, del ringraziamento e della preghiera. Gesù trova lo spunto per riportare i suoi ascoltatori ad un altro e più importante discorso, quello della sua missione, che passa attraverso la distruzione del tempio del suo corpo (chiaro riferimento alla sua imminente morte in croce) e alla sua ricostruzione, cioè alla sua risurrezione. E’ lo stesso evangelista Giovanni, nel suo quarto vangelo, dalle chiare connotazioni teologiche, a dire esattamente cosa ci fosse dietro quel comportamento di Cristo, che a molti poteva e potrebbe ancora oggi significare la perdita di pazienza, irascibilità, aggressione immotivata e ingiustificata. Quale autorità aveva Gesù Cristo per fare tutto questo chiasso e contestare il comportamento dei suoi correligiosi se i sacerdoti e quanti addetti al tempio permettevano tutto questo? 
“Egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”. 
Il contesto della Pasqua ci fa capire esattamente il senso di quella espressione e soprattutto dell’atteggiamento di Cristo. Egli vuole sincerità, non vuole che la fede venga strumentalizzata per altri scopi e che sulla fede qualcuno speculi e realizzi altri interessi che non siano esclusivamente quelli di ordine spirituale e religioso. Ecco perché Gesù reagisce a modo di concepire la religione, ben sapendo ciò che sta nel cuore di ogni uomo. Probabilmente nel cuore di quelle persone Gesù aveva letto non una fede sincera ed aperta al vero dialogo con Dio, ma una fede interessata, con l’aggiunta di avere una copertura logistica alle loro azioni immorali. Stando nel tempio e svolgendo le azioni nel tempio nulla è immorale, anche ciò che è per se stesso immorale nella sua oggettività. Quanta sporcizia spirituale nella Chiesa, di cui parlò l’allora Cardinale Ratzinger ed ora Benedetto XVI, in quella memorabile Via Crucis del 2005, al Colosseo, commentata proprio con i testi da lui scritti. Quanta cattiveria anche in questi giorni nei confronti del Papa che lo stesso Pontefice ha denunciato apertamente in una Lettera inviata a tutti i vescovi, sulla quale noi cattolici dobbiamo riflettere seriamente. Andando al testo del Vangelo di oggi comprendiamo la portata di quel comportamento di Gesù e soprattutto il senso della sua missione. 
Lo zelo che animò Gesù Cristo nel denunciare tutto ciò che contraddiceva ad una fede ed un culto vero, sia forte anche dentro ciascuno di noi. Questo zelo passa attraverso delle scelte di vita morale che trovano il loro punto di partenza, ma anche di costante riferimento alla legge mosaica, ai Dieci Comandamenti di cui la prima lettura di oggi, tratta dell’Esodo ci parla in termini espliciti. Questa legge naturale fondamentale non può essere disattesa da nessuno e un vero credente deve adeguarsi, quanto più possibile a queste fondamentali norme di vita umana, sociale e religiosa, altrimenti si rischia di deviare individualmente e collettivamente. 
Ad un attenta analisi del mondo di oggi e della società in cui viviamo, possiamo ben dire che i Dieci Comandamenti sono disattesi in molte parti di essi. Dalla scarsa fede, al mancato rispetto verso i genitori, alla menzogna, all’impurità, al desiderio di possesso delle cose ci rendiamo conto che il mondo ha bisogno di una profonda conversione, partendo proprio da questa legge rivelata e che è norma valida per giudei e greci, per cristiani e per altre religioni che vengono professate nel mondo. 
Con il Salmo 18, che costituisce l’ossatura della salmo responsoriale possiamo pregare e ricordare a noi stessi e agli altri che “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Il timore del Signore è puro, rimane per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti. Più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante”. 
Tutto questo riflettere ed interrogarci trova la risposta più convincente e paradossale nel mistero del Cristo Morto per la nostra salvezza. Paolo Apostolo lo ricorda espressamente ai cristiani di Corinto nella sua prima lettera di cui un breve brano ascoltiamo oggi come testo della seconda lettura della parola di Dio. 
Questa verità fondamentale della nostra fede, entro la quale si comprende ogni cosa di Cristo, della Chiesa e dell’umanità stessa, è stata il motivo fondamentale della santità di tanti fedeli laici, religiosi, vescovi, papi che fissando lo sguardo sul Crocifisso hanno accettato ogni prova per amore, in quanto la sapienza della Croce è sapienza dell’Amore, è sapienza che libera il cuore da ogni egoismo e da ogni vanità di questa terra, recuperando una fede sincera, un culto autentico, un legame profondo con la Chiesa, corpo mistico di Cristo Crocifisso e Risorto.

Ascolta l'omelia di Don Ferdinando Colombo