Santa Maria Troncatti
Figlia di Maria Ausiliatrice
Madre, missionaria, artigiana di pace e riconciliazione
Il 19 ottobre 2025, Giornata Missionaria Mondiale Suor Maria Troncatti viene dichiarata Santa da papa Leone XIV
Dicembre 1925: le prime tre Figlie di Maria Ausiliatrice destinate alla missione nell’Oriente dell’Ecuador, guidate dal vicario apostolico di Méndez-Guadalquiza monsignor Domenico Comin, si stanno addentrando nella “selva”, ovvero la foresta, e raggiungere il popolo Shuar. Dopo una marcia lunga e faticosa, tra pericoli di ogni genere e un caldo soffocante, il gruppetto viene ricevuto dagli indios, ma prima ha una prova da superare.
Alcuni giorni prima, una figlia del cacique, ovvero del capo della comunità indigena, è stata colpita accidentalmente da una pallottola, durante uno scontro tra famiglie rivali. La ferita è ormai in suppurazione; perfino lo stregone si rifiuta di provare a guarirla. Appena gli Shuar scoprono che una delle suore appena arrivate s’intende di medicina, la pongono davanti a una tremenda alternativa: «Se la curi, ti accogliamo, se muore ti uccidiamo»; lo stesso vale per gli altri missionari.
Monsignor Comin, mentre la ragazza ferita viene messa su di un tavolo, ordina alla religiosa di operarla, ma lei, suor Maria Troncatti, non è medico: ha solo studiato da infermiera dieci anni prima. Di fronte a quell’ordine e allo sguardo supplichevole della ragazza, procede: fa bollire dell’acqua, quindi si procura un telo bianco e prende il coltellino tascabile che ha sempre con sé, insieme a un po’ di tintura di iodio. Subito dopo, procede a un taglio netto: subito la pallottola schizza fuori, mentre gli Shuar, esplodendo in una risata, manifestano la loro gioia. Nella lettera del 27 dicembre 1925, suor Maria racconterà ai familiari: «La Madonna mi ha aiutata, ho visto un miracolo, ho potuto estrarre la palla che aveva vicino al cuore e la bambina si sanò, grazie a Maria Ausiliatrice e a Madre Mazzarello».
UN “TERREMOTO” DI RAGAZZA
Maria Troncatti (al Battesimo, Maria Benvenuta) nasce il 16 febbraio 1883 a Pisogneto di Corteno, dal 1956, Corteno Golgi, in provincia e diocesi di Brescia. La sua famiglia possiede baite, terreni e bestiame, ed è anche radicata in una fede semplice e concreta. Fin da ragazza è abituata al lavoro e alla fatica, ma li vive con allegria, tanto che il padre, che le è molto affezionato, la chiama «el me car taramòt» (in dialetto, «il mio caro terremoto»). Molto intelligente, continua le scuole fino alla quinta elementare, che viene impiantata in paese proprio per aiutarla.
A circa sette anni, le capita uno spiacevole incidente. Mentre si trova al Col d’Aprica con altri bambini che, come lei, badano alle greggi di capre, una vampata del fuoco che i pastorelli avevano acceso per scaldarsi dopo un acquazzone si appicca al suo vestito e alle calze. Spaventata, la bambina cerca di spegnere le fiamme da sola, finché un passante non le presta le prime cure. Mentre i segni sulle gambe rimangono, le mani e le braccia, che sembravano compromesse, guariscono in breve tempo. Con quelle stesse mani, ormai cresciuta, contribuirà alla salvezza di tante persone.
TRA LE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE, SOGNANDO LE MISSIONI
Grazie alla sua maestra, Maria porta ogni mese a casa Il Bollettino Salesiano, la rivista che san Giovanni Bosco aveva voluto per far conoscere le opere dei suoi Salesiani e delle suore Figlie di Maria Ausiliatrice. Leggendo quei racconti, la ragazza decide: sarà suora missionaria e andrà tra i lebbrosi. Confida questo sogno prima a Catterina, sua sorella maggiore, consacrata della Compagnia di Sant’Angela Merici, poi al suo parroco, infine lo rivela al resto della sua famiglia: ne riceve una sonora opposizione.
A ventuno anni, per la legge dell’epoca, diventa maggiorenne: di nascosto dai familiari, scrive a don Michele Rua, Rettor Maggiore dei Salesiani, primo successore di don Bosco e futuro Beato, e chiede di essere ammessa tra le Figlie di Maria Ausiliatrice. Le viene chiesto di presentarsi alla comunità di Tirano, più vicina a casa sua, ma poco dopo le arriva l’invito di entrare nella sede centrale dell’Istituto, a Nizza Monferrato. Il 15 ottobre 1905 Maria lascia la famiglia, ma nello stesso istante in cui lei attraversa il cortile, suo padre sviene tra le braccia del parroco. Solo per un attimo pensa di correre da lui, ma ormai ha deciso.
TANTE PROVE, UNA SOLA CERTEZZA
Maria fatica ad adattarsi alla nuova vita e alle sue regole: abituata all’aria aperta, ai paesaggi delle sue montagne, si sente quasi soffocare e si rammarica di aver «mirato troppo in alto»; prima era così vivace, ma ora si nasconde per non farsi vedere in lacrime. Il suo parroco, allarmato dalle superiore, le scrive per incoraggiarla: quelle domande hanno l’effetto di scuoterla e di riportare il sorriso sul suo volto.
Non entra ancora in noviziato, perché le sue formatrici temono che la crisi ritorni. Alla fine, i consigli della suora addetta all’orto e della cuciniera, che lei affianca nel lavoro, convincono le altre a farla proseguire, perché è dotata di spirito di preghiera e di laboriosità, le stesse doti che santa Maria Domenica Mazzarello voleva per le sue prime figlie spirituali.
Il 17 settembre 1908 Maria professa i primi voti. A quel periodo risale una sua preghiera: «Signore, voglio essere tua per sempre. O Gesù, ho lasciato tutto ciò che avevo di più caro per venire a servirti, per santificare l’anima mia. Sì, tutto ho abbandonato: Tu solo ora mi rimani, ma Tu mi basti. Gesù, fammi tanto buona e perseverante nello stato a cui mi hai chiamata: fa’ che ti serva sempre fedelmente! Fa’ che io sia dimenticata da tutti per essere solo tua; allontanami da tutti per essere un tuo gingillo … Dammi tanto amore, tanto spirito di sacrificio, di umiltà, di abnegazione per essere strumento di bene a tante anime».
Il suo primo incarico è a Rossignano Monferrato, come cuciniera della comunità e della scuola materna, ma poco dopo si ammala: prima ha un’infezione alla mano, poi insorge il tifo. Trasferita nell’infermeria di Nizza Monferrato, riceve la visita di don Rua, che le domanda se vuole guarire: con entusiasmo, risponde di sì e prega con lui tre Ave Maria; quindi, riceve la benedizione di Maria Ausiliatrice. Una volta ristabilita, viene inviata a Varazze, dove segue un corso accelerato da infermiera, per assistere i soldati durante la prima guerra mondiale. È un vero e proprio tirocinio per lei: impara a medicare le ferite, ma capisce anche come arrivare al cuore di persone che spesso non conoscono Dio.
Non dimentica però la sua aspirazione missionaria, anzi, la rinnova durante l’inondazione che colpisce la città il 25 giugno 1915. Mentre l’acqua sale, suor Maria promette a Maria Ausiliatrice che, se ne uscirà salva, sarà missionaria: non solo sopravvive, ma riesce a mettere in salvo anche la consorella che è con lei.
I PRIMI TEMPI IN MISSIONE
A guerra conclusa, suor Maria per un anno viene traferita a Genova nell’Opera “Protezione della Giovane” destinata a ragazze e bambine profughe di guerra. La comunità viene soppressa, quindi ritorna a Nizza Monferrato, questa volta come infermiera. La notte del 13 marzo 1922, mentre assiste la quindicenne Marina Luzzi, le chiede: «Marina, appena vedrai la Madonna dille che mi ottenga da Gesù di essere mandata tra i lebbrosi». La malata replica: «No, suor Maria, lei andrà missionaria in Ecuador!». La suora insiste: «Tra i lebbrosi…», ma la ragazza, quasi col suo ultimo respiro, rimarca: «Lei andrà in Ecuador».
Pochi giorni dopo la morte di Marina, suor Maria incontra la superiora generale, suor Caterina Daghero: da lei apprende di essere destinata proprio in Ecuador, precisamente nella zona orientale, praticamente inesplorata, che monsignor Comin, ricevuto da papa Benedetto XV, aveva definito «un ramo secco». Per farsi coraggio, rilegge gli appunti di una conferenza della madre vicaria Enrichetta Sorbone, sul quadernetto che porta sempre con sé: «Andando nelle missioni, preparatevi alle sofferenze; ma bisogna soffrire con umiltà, tenendo la testa sopra il cuore e il cuore sotto la testa: cuore grande… cuore di madre, cuore retto, cuore buono. Cuore più buono che giusto». Dal 25 settembre al 30 ottobre 1922 è a Chieri nell’Istituto “per imparare l’arte del tessere”.
Il 9 novembre 1922 parte per l’Ecuador: insieme alle consorelle sbarca a Guayaquil in prossimità del Natale. Dal 1923 al 1925 è superiora della comunità di Chunchi, dove le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno aperto un piccolo internato per bambine. Il 13 luglio 1923 scrive ai familiari: «Sì, ho veramente tanto bisogno dell’aiuto di Dio; la missione che il buon Dio mi ha affidato è difficile; è arduo il cammino. Ma quel Dio che mi ha dato tanto coraggio non mi lascerà in abbandono: lo sento molto vicino, Gesù, direi si fa sentire sensibilmente; e difatti come avrei potuto avere la forza, una povera creatura tanto debole, avere tanto coraggio? E come potrei vivere così allegra e contenta come sono, in un deserto straniero e direi quasi barbaro?». Trascorre il resto della sua vita interamente nella selva, tranne un quadriennio nel collegio di Guayaquil: le comunità dove vive sono Macas, Sucúa, Sevilla Don Bosco.
UNA MADRECITA CHE SI PRENDE CURA DELL’UMANITÀ A TUTTO TONDO
Con quelle stesse mani che rischiavano di rimanere menomate, suor Maria si ritrova a compiere altri interventi d’emergenza come quello alla figlia del cacique: in condizioni più che estreme diventa dentista e farmacista, affronta epidemie e ripara i segni della violenza su tante donne. Non soccorre solo materialmente gli abitanti della selva: alle sue cure accompagna costantemente l’invito alla preghiera e alla fiducia in Dio. Assume anche l’opera educativa attraverso un internato e una scuola, dove le figlie dei coloni hanno come compagne di banco le bambine Shuar. In tal modo, cadeva un muro di separazione tra due popoli in conflitto per l’uso diverso della terra. Suor Maria, amandoli tutti come figli senza distinzione, pone le fondamenta per un rapporto di pace e di riconciliazione.
Nei suoi viaggi attraverso la selva, scopre che gli abitanti lasciano spesso morire bambini che reputano indesiderati: riesce a salvarne moltissimi, prendendosene cura nella missione. Conoscendo gli Shuar, apprende le dure leggi che regolano la loro civiltà: su tutte, quelle della vendetta e lavora per portare il Vangelo del perdono. Nonostante questo, è felice della sua vita, come scrive ai familiari il 25 maggio 1932: «Certo che noi siamo tutte per loro: per il grande, il piccolo, per l’ammalato, per il selvaggio, per il civilizzato». Con le sue cure, quindi, salva praticamente un’intera etnia dall’estinzione: in tanti ormai la chiamano madrecita (“mammina”), un appellativo riservato solo a lei tra le suore.
In tutte le sue destinazioni, suor Maria si occupa del botiquín, a metà tra un piccolo negozio e un dispensario. Soprattutto a Sucúa, si rende conto che serve un ospedale vero, dove i malati possono essere ricoverati e curati. Dal 1954, grazie all’aiuto di tanti, l’ospedale, intitolato a Pio XII, diventa realtà ed è la casa di tutti, coloni e shuar; nel 1961 s’ingrandisce con un reparto maternità. Il cuore di suor Maria ha posto anche per i confratelli salesiani, sacerdoti e coadiutori: molti sono in debito con lei per l’aiuto che ha dato alla loro vocazione, nascente o in crisi. I suoi gesti di cura sono capaci di rimetterli in piedi, in tutti i sensi.
DAVANTI A GESÙ PER RITROVARE LA FORZA
«Ai piedi di Gesù mi consolo; uno sguardo al mio crocifisso che tengo appeso al collo mi dà vita e ali per lavorare», scrive ai suoi cari il 4 settembre 1931: in quel modo, supera la preoccupazione per loro, considerando che non li ha più rivisti dopo la sua partenza. Di fatto, la relazione di suor Maria col Signore è la base di ogni sua attività.
Da novizia aveva imparato a tenere presente Dio in tutto e a restare continuamente unita a Lui col pensiero e con brevi giaculatorie: continua a farlo nei suoi cammini attraverso la selva, con la valigetta medica in una mano e la corona del Rosario nell’altra. La sua giornata inizia prima dell’alba, con la preghiera della Via Crucis: le donne che partecipano il sabato mattina al Rosario dell’aurora, un’usanza impiantata dagli spagnoli, la trovano già in chiesa. Quando le vengono sottoposti casi difficili, si dirige in cappella non tanto per prendere tempo, ma per chiedere al Signore di operare con lei.
Quasi come don Bosco, ripete a quanti vengono a chiedere di essere curati: «Io vi do le medicine, ma chi vi ottiene la guarigione è Maria Ausiliatrice!». In un’altra occasione, quando il missionario salesiano padre Albino Gomezcoello finisce tra la vita e la morte a causa di un avvelenamento, lo veglia con il Rosario in mano e chiede a suor Teresa Valsè Pantellini (all’epoca Serva di Dio) d’intercedere per lui.
IL COMPIMENTO DELLA SUA MISSIONE
Nei suoi anni di missione, suor Maria ha rischiato più volte la vita, soprattutto a causa di pericoli naturali. Col passare del tempo, però, i missionari sono sempre più minacciati a causa delle tensioni tra Shuar e coloni: questi ultimi arrivano, nel luglio 1969, a incendiare la missione. Mentre monta la violenza, lei diventa sempre più convinta di quanto confida all’amica suor Pierina Rusconi: «Queste due razze non si potranno riconciliare senza una vittima che si offra per loro. Chiedo a lei se mi consiglia di offrirmi vittima per questa riconciliazione».
Il 25 agosto 1969, insieme ad altre due consorelle, sale a bordo di un piccolo aereo per partecipare agli Esercizi spirituali a Quito. Pochi istanti dopo, suona l’allarme: l’aereo è caduto in un vicino canneto. Suor Maria viene trovata stesa a terra; spira appena giunta in ospedale. Appena un anno prima, i giovani dell’Operazione Mato Grosso, giunti a Sucúa per installare una stazione radiofonica, le avevano offerto un viaggio di ritorno in Italia, ma lei aveva declinato l’invito: «Ci si dà una volta. E ci si dà per sempre!». La sua morte getta nello sconforto gli Shuar, che sentono di aver perso la loro madrecita, ma allo stesso tempo segna l’auspicata riconciliazione.
Nei decenni seguenti, il suo ricordo si traduce in una consolidata fama di santità, che porta la Postulazione Generale della Famiglia Salesiana a chiedere l’apertura della sua causa di beatificazione e canonizzazione. Suor Maria è stata beatificata a Macas il 24 settembre 2012, mentre la sua canonizzazione è attesa per il 19 ottobre 2025. All’annuncio di quest’ultima data, madre Chiara Cazzuola, superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha dichiarato: «È bello constatare che, conservando i tratti di una donna umile e consapevole della propria fragilità, si realizza pienamente come missionaria salesiana, coraggiosa, audace, una donna di frontiera, una Figlia di Maria Ausiliatrice profetica, capace di inculturarsi in una realtà particolarmente sfidante come la selva dell’Ecuador, incarnando i tratti più significativi del carisma salesiano».
Emilia Flocchini
Immagine di copertina e foto nel testo cortesemente concesse dall’Archivio generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice (AGFMA)




