Un missionario porta a porta
“La missione è qualcosa che non posso sradicare dal mio cuore. Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo mondo”. Sono parole di papa Francesco del 2019, ma sono applicabili letteralmente a don Francesco Convertini (1898-1976), una figura di semplice salesiano, che emerge con una sua precisa identità accanto alle grandi figure di missionari del continente asiatico. In questo momento ecclesiale di massima attenzione alla missionarietà affidata ad ogni singolo battezzato è forse utile fare memoria di chi ha saputo “missionare”, ossia evangelizzare, col suo semplice peregrinare nel territorio a lui affidato, esattamente alla maniera di Gesù in Palestina.
UN’INFANZIA E UNA GIOVINEZZA TORTUOSA (1898-1927)
Nato nel 1898 in una famiglia di contadini a Locorotondo (Bari), a tre anni perde il padre. Dopo alcuni anni la mamma passa a nuove nozze, ma nel 1909 muore di parto e Francesco con due fratellini è affidato a tre diverse famiglie. Undicenne lavora in una masseria, accompagnando al pascolo agnelli e capretti. Non frequenta la scuola, impara a leggere e scrivere nella famiglia che lo accoglie. Rientrato poi a casa lavora sodo, si fa una fidanzata mentre il patrigno si risposa.
Nel gennaio 1917 Francesco viene chiamato alle armi. Fatto prigioniero e internato in un campo polacco, rientra nel novembre 1918 ammalato di meningite da cui però guarisce. Il lavoro di contadino non lo soddisfa e così a 22 anni entra nella Guardia di Finanza. A Torino fa amicizia con il salesiano don Angelo Amadei che, divenuto suo confessore, a suo tempo, a bruciapelo gli propone di diventare missionario. Francesco ci pensa su e decide: lascia tutto, lavoro e fidanzata ed entra nell’Istituto missionario salesiano “Cardinal Cagliero” di Ivrea. Qui inizia a studiare. Ma lo studio per lui semianalfabeta è un vero e proprio supplizio; a fine anno però è promosso con il giudizio: “deficiente di ingegno, ma costante negli studi. Gran lavoratore”. Ce n’era abbastanza per essere mandato in missione.
COMMESSO VIAGGIATORE DEL RE DEI RE IN INDIA (1928-1941)
Ricevuta nel settembre 1927 la veste clericale parte per l’India, destinazione Assam. A fine anno inizia il suo noviziato a Shillong e nel volgere di sette anni compie tutto il normale percorso di studi e di esperienza salesiana. Il 29 giugno 1935 a 37 anni è ordinato sacerdote, pronto per fare il missionario a tempo pieno.
Viene mandato nel Bengala. Per alcuni mesi accompagna l’ispettore in varie missioni, poi è trasferito nel villaggio di Maliapota (diocesi di Krishnagar), dove aiuta pure il parroco di Bhoporpara, compie visite in vari villaggi, prima di fermarsi a Bhoporpara e poi a Ranabondo (1939-1940).
La diocesi di Krishnagar è poverissima, con pochi cattolici ed è continuamente soggetta a siccità, inondazioni, incendi ed epidemie varie. Diventano questi i normali compagni di don Francesco nei suoi viaggi in numerosissimi villaggi. Si sposta a piedi, talvolta con la bicicletta regalatagli, in mezzo al fango, dormendo dove capitava, magari in compagnia di topi e di zanzare. Impara le forme più semplici del bengalese, quello adatto alla maggioranza dei poveri che incontra. Nel suo girovagare “porta a porta” suscita conversioni, celebra battesimi, regolarizza situazioni matrimoniali irregolari. I segreti del suo “successo apostolico”? Pochi: ore di preghiera prima di partire, digiuno, accettazione dei sacrifici e attenzione privilegiata ai piccoli, senza distinzione di classe sociale o di religione. “Commesso viaggiatore del Re dei Re”, non gli mancarono avventure di ogni genere, come quella, incredibile, di ordinare ad una temutissima tigre di spostarsi dal sentiero nella foresta per lasciare passare il suo Signore che lui stava portando ad un ammalato.
STABILE A KRISHNAGAR (1942-1976)
Dal 1942 don Francesco viene trasferito nella curia vescovile di Krishnagar, dove è vescovo il salesiano Louis La Ravoire Morrow. Comincia così una tappa un po’ più stabile, i giri missionari cominciano gradualmente a ridursi di raggio, aiuta in parrocchia e confessa stabilmente religiosi, allievi, fedeli.
Scoppiata la guerra mondiale, i salesiani italiani di Krishnagar riescono ad evitare l’internamento ed allora don Convertini è incaricato di distribuire quegli aiuti umanitari che il vescovo riesce a far arrivare. [Come non pensare a quello che è successo a Gaza in Palestina!!!] Il 15 agosto 1947 l’India ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna, indù e mussulmani si separano formando due nazioni, India e Pakistan. Nell’area bengalese avvengono trasferimenti di milioni di persone con conseguenti enormi problemi abitativi. I salesiani fanno quello che possono per i rifugiati, don Convertini fra loro. Le sue lettere traboccano di richieste di aiuto e di ringraziamento ai suoi benefattori.
DUE RAPIDI SOGGIORNI IN ITALIA (1952, 1974)
Nel 1952 rientra al suo paese per un periodo di riposo; rivede il fratello Samuele venuto appositamente dall’America con la moglie; vende la sua parte di eredità per avere denaro per i suoi poveri, stringe amicizia con la responsabile del gruppo missionario del suo paese che si impegna a sostenere il “loro” missionario.
La missione lo chiama: don Francesco se ne torna rapidamente a Krishnagar dove riprende la sua vita, fatta di cose modeste, essenziali. Spesso lo si vede in giro, scalzo, per non consumare le scarpe, mentre si intrattiene a dialogare affabilmente con la gente. Da buon salesiano, incoraggia ad essere buoni cristiani possibilmente e onesti cittadini.
La salute però comincia a deperire. Nel 1957 è sottoposto ad un intervento chirurgico a Shillong; nel 1960 attacchi di cuore lo costringono a ricoverarsi per due mesi in ospedale a Calcutta per poi passare un periodo di riposo fra le montagne nel distretto di Darjeeling. Nell’agosto 1961 ritorna a Krishnagar accolto con entusiasmo dalla gente, cattolici, indù e pure protestanti. Riprende il suo pellegrinare villaggio dopo villaggio, fatto di ascolto attento e non umiliante, di aiuto concreto, di parola non giudicante, di annuncio evangelico discreto e perciò alla lunga incisivo. Conquista la fiducia di padri e mariti non cristiani che, del tutto eccezionalmente, gli consentono di entrare in casa anche in loro assenza.
Don Francesco ha sempre le mani aperte per donare qualcosa di utile, arrivatogli dai benefattori lontani. Distribuisce pacchetti di farina, di latte in polvere, di pasta, di zucchero per i bambini. Anche quando gli altri salesiani abbandonano le visite tra le famiglie indù per occuparsi delle opere educative, egli resta fedele al suo mandato missionario originario: andare, incontrare, ascoltare, aiutare, confortare, pacificare, annunciare. Sembra di udire le parole di papa Francesco e pure di papa Leone XIV, guarda caso, due papi con esperienze missionarie. Intanto i suoi penitenti, apprezzano la sua paternità spirituale, la coerenza di vita e i consigli illuminati che toccano il cuore. Nel maggio 1970 è costretto ad un nuovo ricovero in ospedale a Calcutta. Si riprende ma è obbligato a ridurre la sua attività pastorale. Nel 1972 supera un altro momento critico, per cui nel 1974 viene rimandato nuovamente in Italia per un meritato riposo.
“IL NON TORNARE È PER ME UN TRADIMENTO”
La salute è ormai compromessa e a poco serve un mese di ricovero all’ospedale. Don Francesco vuole ripartire: “Là devo andare. Il non tornare è per me un tradimento alla mia vocazione. Un missionario è missionario sino alla fine… non torna in patria quando la sua patria è lì”. Nel novembre torna a Krishnagar e l’11 febbraio 1976 muore. Il funerale è impressionante, ci sono tutti, in maggioranza non cristiani. Piuttosto debole forse la sua cultura teologica, ma quanto ricca di fede, di amore in uscita, inclusivo, trasversale come si direbbe oggi. Don Convertini, dichiarato venerabile da papa Francesco, è stato una missione “porta a porta” in Bengala; invita ciascuno a far altrettanto a casa nostra, qui e ora.
Don Francesco Motto, già direttore dell’Istituto Storico Salesiano
Immagine di copertina: Don Francesco Convertini con una famiglia povera di Krishnagar

