Sono solito intervistare una persona, un testimone della fede, ad ogni numero della rivista. Non potendo raggiungere Vera Grita fisicamente, ho pensato di farmi guidare dalla prof.ssa Lodovica Zanet, che la conosce bene, nel visitare tutti i luoghi dove Vera è vissuta, approfondendo stimoli e sensazioni che hanno influenzato la sua spiritualità.
1. Sappiamo che sei una studiosa di Vera Grita e ancor più che, in certo senso, te ne sei innamorata. Per questo ti chiediamo di prenderci per mano e di farcela conoscere.
La vita di Vera Grita si è svolta nel breve arco di tempo di 46 anni segnati da eventi storici drammatici, quali la grande crisi economica del 1929-1930 e la Seconda guerra mondiale, e si è conclusa alle soglie di un altro evento storico significativo: la contestazione del 1968.
Nacque a Roma il 28 gennaio 1923, secondogenita di quattro sorelle. Bambina, dovette lasciare la famiglia e distaccarsi dagli affetti più cari, insieme alle sorelle Liliana e Giuseppina, per raggiungere Modica, in Sicilia. Le zie paterne si erano infatti rese disponibili ad aiutare i genitori di Vera, colpiti da dissesto finanziario, accogliendo le nipoti in casa propria.
A 17 anni ritornò in famiglia a Savona, dove conseguì l’abilitazione magistrale e lavorò come insegnante di scuola elementare.
A Savona, il 3 luglio 1944, durante un bombardamento, venne travolta e calpestata dalla folla in fuga; le lesioni riportate la segnano irreparabilmente. [Ha 21 anni].
Sempre a Savona, nella parrocchia salesiana di Maria Ausiliatrice, partecipava all’Eucaristia e si accostava con fedeltà esemplare al sacramento della Riconciliazione. Nonostante la malattia, accettò di insegnare in scuole periferiche: Rialto, Erli, Alpicella, Deserto di Varazze… Dal 1963 fu suo confessore il salesiano don Giovanni Bocchi; quando divenne Cooperatrice salesiana (1967), si affidò a don Gabriello Zucconi, salesiano anche lui, come padre spirituale.
Il 19 settembre 1967, mentre pregava davanti al Tabernacolo nella chiesa di Maria Ausiliatrice a Savona, risentì la “Voce” che già una volta aveva avvertito ad Alpicella, otto anni prima, e che la invitava a vivere a fondo la gioia e la dignità di figlia di Dio, nella comunione con la SS. Trinità e nell’intimità eucaristica del Tabernacolo:
«Il vino e l’acqua siamo noi: io e tu, tu e Io. Siamo una cosa sola […] lasciami lavorare, non pormi ostacoli […] la volontà del Padre mio è questa: che Io rimanga in te, e tu in Me. Insieme porteremo gran frutto».
Fu il primo di 186 messaggi che costituiscono l’Opera dei Tabernacoli Viventi che Vera, lottando con il timore di essere vittima di un inganno, scrisse in obbedienza a don Zucconi.
Vera morì a Pietra Ligure, Savona, il 22 dicembre 1969, a due anni dall’inizio della sua esperienza mistica.
2. Una vita breve, movimentata, che ha toccato molti luoghi, quasi come una missionaria. Ma certamente una vita ricca spiritualmente perché giunge all’intimità con il Signore Gesù che le affida uno splendido messaggio per la Chiesa.
Ognuno di noi, primariamente, viene al mondo in uno spazio ricevuto e la prima casa che abitiamo è anche la prima relazione che intessiamo: cominciamo a esistere e crescere nel corpo di nostra madre, al tempo stesso “dimora” e “legame” fondante. Vera Grita abitò in luoghi e modi diversi: nacque a Roma; visse in Sicilia; si trasferì a Savona; fu “pellegrina” nei centri dell’entroterra ligure per insegnarvi come maestra; ebbe in dono l’esperienza splendida, ma sfidante del Deserto di Varazze; fu ricoverata in strutture sanitarie.
Intessuti come siamo di carne e concretezza, potremmo dire che”serve un luogo, perché le cose accadano”: serve uno spazio che delimiti e contenga, che orienti e dischiuda prospettive. Un punto d’appoggio e di partenza. Una sosta e una casa ove tornare. Vera non scelse i propri luoghi. Bambina, è provata da spostamenti e distacchi affettivi. Giovane, dopo la morte del padre resta a Savona, dove un incidente del luglio 1944 compromette il suo futuro: accetta allora di abitare in modo per sempre diverso i propri spazi e i propri sogni, rinunciando alla salute e a una futura famiglia tutta sua. Adulta, le toccarono sedi di insegnamento penalizzanti; le patologie la obbligano a frequenti ricoveri, terapie e interventi medici; infine la famiglia non sempre le offriva spazi di serenità per come lei ne avrebbe necessitato. C’è come una “passività” nella vita di Vera: essa diventò accettazione, poi accoglienza, poi docilità anche nelle fatiche più grandi.
3. Stai dicendo che in tutte le vicende che ha vissuto è andata maturando la sua personalità spirituale che si è fatta dono per tutte le persone che ha incontrato. La santità del quotidiano vissuta con amore.
I luoghi non furono quasi mai per Vera spazi di sosta e conforto. Fu soprattutto l’esperienza in famiglia a divenire sfidante: crisi economica, morte del padre, differenze di sensibilità, incomprensioni con la mamma e molto altro segnarono la sua permanenza tra le mura domestiche: tornare a casa equivalse talvolta a votarsi a un esercizio di carità, contrastando il proprio sentire ed esigenze.
Vera, che non aveva dimora stabile, si sacrifica perché gli altri la avessero. Come emerge dalle fonti, Vera Grita si impegnò economicamente a sostenere la famiglia perché potesse trovare una stabilità di casa e vita. Rapportato al suo modesto stipendio di maestra, il contributo finanziario garantito da Vera si rivelò un vero sacrificio, ma un sacrificio decisivo: l’elemento più “fragile” diveniva il più “forte” e sorreggeva, in termini affettivi, pratici ed economici, tutti gli altri. Vera si spese totalmente, a prezzo di rinunce, perché gli altri abitassero spazi e relazioni qualificate. Una nipote ha testimoniato che da Vera emanava un particolare fascino, una allure che rasserenava, elevava e “creava” l’atmosfera giusta («Il “sentore” della Zia era emanazione di `allure’ che si spandeva all’intorno della sua persona. Lei andava oltre qualsiasi buon profumo, Lei era l’insieme di percezioni amabilissime»).
Chiunque l’abbia incontrata, testimonia come Vera fosse segreta tessitrice di relazioni feconde e rendesse affettivamente coinvolgenti gli spazi pur modesti dello stare insieme. Tutte le volte in cui Vera cercò accoglienza e comprensione, rifugio e protezione in uno “spazio laico” non li trovò: a Modica abitava in casa delle zie paterne, ma pativa la lontananza dai genitori; quando rientrò in famiglia dopo anni, i rapporti dovevano essere ricostruiti; non riuscì a raggiungere, perché fu travolta e calpestata, la galleria verso cui corse nel luglio 1944 durante il bombardamento di Savona, e dove si sarebbe potuta salvare. Non è però l’ultima parola.
4. Quindi Vera pur non sposandosi, non avendo formato una sua famiglia, ha aiutato tante persone e famiglie a realizzarsi. E lei dove trovava una ricarica?
Quanto Vera non trovò nello spazio “laico”, lo scoprì e ricevette nella “ricchezza abbondante” della Chiesa. Ebbe nella mamma di don Zucconi (suo confessore) l’esperienza d’una famiglia come il suo cuore desiderava. Fu sorella per sacerdoti diversi. Visse al Deserto di Varazze accompagnata da fama di santità e profondamente stimata. Ricevette il dono di una maternità non fisica, ma “pedagogica” e spirituale per tanti alunni e le loro famiglie. La chiesetta di Maria Ausiliatrice in Savona divenne, in certo senso, la sua stessa casa. Il Signore predispose per lei l’ospitalità in case (religiose) dove voleva fosse accolta, anche a favorire la sua speciale chiamata per l’Opera dei Tabernacoli Viventi (OTV), con tutto ciò che essa comportava: tra le Canossiane prima e tra i Carmelitani Scalzi poi.
I luoghi furono per Vera punto di partenza e occasione di apostolato. Come Salesiana cooperatrice – chiamata a portare lo spirito di don Bosco nel mondo – i primi “luoghi” da abitare consistevano per lei nelle relazioni. Quando Gesù la rese partecipe dell’Opera dei Tabernacoli Viventi, in quel «Portami con te» le insegnò uno stile che non si legasse alle case con le loro mura, ma la conducesse all’incontro con gli ultimi, i poveri, i lontani.
Figlia di don Bosco, Vera fu mandata a questi “piccoli”: gli studenti di povere famiglie, per i quali fu maestra e mamma, crescendoli con amore sacrificato e paziente e privandosi delle proprie medicine per comprare loro i ricostituenti; i malati di ospedale con i quali condivideva la fatica di accertamenti, interventi e ricoveri, orientando a Dio.
5. Ritorna insistente nel tuo racconto questa bellissima idea che quando Gesù si unisce a noi nella Comunione, diventiamo dei Tabernacoli viventi.
Maria viene presentata come la “maestra” che «insegnerà nell’intimo come amare, adorare, portare e dare Gesù» (p. 220). «Vengo a portare una “via” nuova d’Amore sulla terra, per gli uomini che mi aspettano e mi amano: via fondata sulla Verità, che è la mia Realtà divina e umana nella Presenza Eucaristica; via che porterà la vita di Grazia a tante anime da Me lontane. La mia Via sta nella Verità e dona la mia Vita. Questa Via sono io: Gesù Eucaristia (p. 219).»
Tra i contenuti dottrinali degli Scritti di Vera, un punto importante riguarda la permanenza della presenza eucaristica nei fedeli dopo la comunione, contrariamente ad un’opinione molto diffusa nella Chiesa secondo la quale la presenza di Gesù Eucaristia sarebbe solo di pochi istanti dopo la comunione, scomparendo quando le specie del pane si sono dissolte nel corpo. Questa idea (sbagliata) di una presenza fuggitiva è in contraddizione con le parole di Gesù nel Vangelo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56).
La stessa verità è stata espressa in modo splendido da Vera, che non fa riferimento ad un grazia straordinaria data ad alcuni santi, ma ad un effetto normale della comunione, che permette ad ogni fedele di essere già un vero Tabernacolo Vivente. “Tabernacolo Vivente” che custodisce e irradia la Presenza di Gesù Eucaristico, Vera Grita stessa si scoprì e divenne “casa”: casa che non sempre si piacque; casa che descrisse con lucidità anche nei difetti, in un percorso di conversione e crescita sino all’ultimo istante. Dice Gesù: «Io scavo, scavo per costruirmi un tempio; lasciami lavorare, non pormi ostacoli». «Un Tabernacolo da purificare», lo chiama don Morand Wirth, citando anche queste parole di Gesù: «Io sto lavorando in te a colpi di scalpello, poiché ho un Tempio da preparare per Me. Le aridità, le croci piccole e grandi, sono il mio martello. Quindi, a intervalli arriverà il colpo, il mio colpo. Devo portar via da te molte, molte cose: la resistenza al mio amore, la sfiducia, i timori, l’egoismo, ansie inutili, pensieri non cristiani, abitudini mondane». Anche in una “santa”, c’erano tante cose da togliere e cesellare! Quasi al termine della sua vita terrena, il Signore le dona il nome nuovo: Vera di Gesù. “Ti ho donato il mio Nome santo, e d’ora in poi ti chiamerai e sarai `Vera di Gesù'” (Messaggio del 3 dicembre 1968).
6. Si spalanca il cielo! Questo annuncio va proclamato a tutta la Chiesa. Sarà grande gioia e grande forza per tutti i credenti. Ora comincio a capire che questa idea, cioè che ognuno di noi che si unisce a Cristo nell’Eucaristia è un Tabernacolo Vivente, può e deve diventare un'”Opera”, una struttura, un modo di vivere la fede.
Esattamente è questo che Gesù chiede: l’Opera dei Tabernacoli Viventi. Il 19 settembre 1967 iniziò l’esperienza mistica che la invitava a vivere a fondo la gioia e la dignità di figlia di Dio, nella comunione con la Trinità e nell’intimità eucaristica con Gesù ricevuto nella S. Comunione e presente nel Tabernacolo. Il «Portami con te» esprime in modo semplice l’invito di Gesù fatto a Vera. Dove, portami con te? Dove vivi: Vera viene educata e preparata da Gesù a vivere in unione con Lui. Gesù vuole entrare nella vita di Vera, nella sua famiglia, nella scuola dove insegna. Un invito rivolto a tutti i cristiani. Gesù vuole uscire dalla Chiesa di pietra e vuole vivere nel nostro cuore con l’Eucaristia, con la grazia della permanenza eucaristica nell’anima. Vuole venire con noi dove andiamo, per vivere la nostra vita familiare, e vuole raggiungere – vivendo in noi – le persone che vivono lontane da lui. L’Opera, per volontà del Signore, viene affidata in prima istanza ai figli di don Bosco per la sua realizzazione e diffusione nelle parrocchie, negli istituti religiosi e nella Chiesa: «Ho scelto i Salesiani poiché essi vivono con i giovani, ma la loro vita di apostolato dovrà essere più intensa, più attiva, più sentita». (2 febbraio 1968, p. 169)
7. Hai accennato che nella vita di Vera hanno parte sia don Bosco che i salesiani e soprattutto Maria Ausiliatrice.
La chiesa di Maria Ausiliatrice in via San Giovanni Bosco a Savona – casa tra le case che, per le sue modeste dimensioni, pare quasi tutt’intera un piccolo “tabernacolo” – è per Vera luogo importante. La Serva di Dio aveva già conosciuto una chiesa di Maria Ausiliatrice, quella di Modica Alta, negli anni dell’infanzia in Sicilia: le era particolarmente cara soprattutto per la devozione dei fedeli nel mese di maggio. Conoscerà quella di Torino, dove vivrà momenti di fondamentale rilevanza per sé e la nascita dell’Opera. La chiesa di Maria Ausiliatrice di Savona è invece quella frequentata da Vera, ormai donna. Quando infatti era a Savona, partecipava qui ogni mattina alla Santa Messa, alzandosi alle 5.30 per poterci essere prima dei doveri della giornata.
Nel 1963 venne nominato rettore della Chiesa il Salesiano don Giovanni Bocchi (fino al 1966). Vera cominciò a confessarsi da don Giovanni Bocchi ogni sabato. Dice questo Salesiano: «è in confessionale che ho conosciuto lo spirito di Vera Grita: era molto pia, semplice, serena, umile, appassionata di Gesù Eucaristia, zelante nel suo dovere di insegnante, devotissima della Vergine Maria, fedele ai suoi impegni religiosi. Quando era a Savona, partecipava ogni giorno alla prima Messa del mattino: la rivedo nel suo posto e nel banco abitudinario, lato sinistro dell’entrata della Chiesa, composta, assorta, contemplativa, a volte con gli occhi chiusi, spesso con la corona del rosario in mano.
Si confessava sempre una volta la settimana, il sabato. Nei tre anni in cui sono rimasto a Savona (1963-66), Vera ha sempre frequentato la nostra chiesa (Maria Ausiliatrice): ho potuto così conoscere il suo amore a Gesù Eucaristia e la sua devozione alla Vergine Ausiliatrice. Vera aveva una salute molto precaria, ma non l’ho mai sentita lamentarsi, anzi non conoscevo il calvario che viveva nel suo corpo da più di 20 anni». Negli anni di don Bocchi rettore, Vera emise sotto la sua guida, il 2 febbraio 1965, il voto di castità perpetua e di piccola vittima: don Bocchi inoltre l’aiutò a rileggere in modo nuovo la propria condizione di fragilità fisica, le aprì più vasti orizzonti e il Signore si servì di lui per preparare il “terreno” a quanto sarebbe accaduto negli anni successivi.
In una lettera del 9 febbraio 1968 a don Gabriello Zucconi, Vera scrive: «Gli offra tutto di me: vita, sofferenza, cuore, anima, “voto di vittima” e di castità perpetua che tre anni fa, nel 1965, il giorno 2 febbraio ho fatto per mezzo di Don Bocchi in confessione». In Maria Ausiliatrice Vera partecipò, quando possibile, alle riunioni dei Salesiani cooperatori; talvolta anche a quelle dell’Azione Cattolica e dell’ADMA. Nell’estate 1967 (44 anni), la Serva di Dio si orientò definitivamente alla Famiglia Salesiana e «il suo attestato di iscrizione all’Associazione (dei Salesiani Cooperatori), allora chiamata Pia Unione, porta la data del 24 ottobre 1967». Nel luglio precedente aveva partecipato alla settimana di esercizi spirituali a Finale Ligure: organizzati da don Bocchi, guidati da don Zucconi, poi suo padre spirituale e figura di primario rilievo dell’OTV, della quale, con Vera, è considerato “fondatore”.
8. È molto significativo il fatto che la crescita spirituale di Vera è avvenuta nella normalità della vita parrocchiale, nella ferialità della celebrazione dei Sacramenti della Comunità cristiana. Insomma in un ambito accessibile a tutti.
La chiesa di Maria Ausiliatrice a Savona “media” effettivamente gli incontri fondamentali di Vera Grita. Qui era assidua all’Eucaristia e alla Riconciliazione; qui esprimeva il suo amore a Maria; qui emise i voti privati di castità e vittima. Presso quest’Opera salesiana si orientò al percorso come Cooperatrice. Soprattutto, in Maria Ausiliatrice Vera Grita era “di casa” e qui anche i familiari la incontravano nella dimensione alla quale la sua vita era votata e assorbita in modo crescente: la preghiera, l’unione con Dio. L’atteggiamento di Vera non era disinteresse per la famiglia (in cui fu presente e a cui volle immensamente bene), ma espressione di un “più grande amore” che poteva risultare non immediatamente “decifrabile” ad altri.
Qui, il 19 settembre 1967 Vera risentì la “Voce” ascoltata una prima volta ad Alpicella nel 1959, mentre era in chiesa, davanti al Santissimo Sacramento esposto sull’altare: «Il vino e l’acqua siamo noi: Io e te, tu ed io. Siamo una cosa sola. Io scavo, scavo per costruirmi un tempio; lasciami lavorare, non pormi ostacoli. … E la volontà del Padre mio è questa: che Io rimanga in te, e tu in Me. Insieme porteremo gran frutto”». Lei stessa annota sul Quadernetto: «19-91967 ore 11,05 (Davanti al Santissimo Sacramento)». Vera non scrisse mai per inclinazione o gusto personale: “segretaria” del buon Dio, si donò senza condizioni, sino a offrirsi totalmente per l’Opera dei Tabernacoli Viventi. Accettò di non capire tutto, ebbe bisogno di tempo. Il Signore le fu accanto per sostenerla e incoraggiarla, correggerla e farla crescere: i Messaggi da lei trascritti sono esercizio di umiltà, carità, obbedienza … di dono oblativo totale, di conversione continua.
Vera, Serva di Dio, crebbe alla scuola esigente di un amore oggettivo la cui misura non erano i desideri o il sentire proprio.
(Lodovica Maria Zanet intervistata da Don Ferdinando Colombo)
Immagine di copertina: Vera Grita e l’Eremo carmelitano del Deserto di Varazze
Guarda “Sulle tracce di Vera Grita – Serva di Dio (1923-1969)” se vuoi gustare un video che ripercorre tutti i luoghi dove Vera Grita è vissuta.




