GESÙ IL NAZARENO
Abbiamo visto che mentre in Matteo, Gesù incoraggiava l’orante ad abbandonare il proprio affanno al Padre che vede e conosce le sue esigenze, senza ricorrere a “molte parole” (Mt 6,7), in Luca, ha insistito su una preghiera che non smette di confidare in Dio fino ad ottenere da Lui ciò che chiede. Non è che Luca voleva che noi pensassimo d’essere capaci a convincere Dio di essere buono con noi ripetendo le nostre difficoltà, come se Lui avesse bisogno di conoscere la nostra povertà per essere il nostro Benefattore. Voleva, invece, che la nostra preghiera fosse esercizio di una fiducia che più cresce quanto più si deve attendere la sua risposta.
Tanto più il Padre ritarda a concederci ciò che abbiamo domandato, tanto più si intensificherà il nostro desiderio e si raddoppierà la nostra richiesta. Il Signore vuole che prendiamo sul serio la nostra povertà, che ci rendiamo conto della nostra insufficienza, che mostriamo la nostra incapacità di fornire da noi stessi quello che ci serve. E così mette alla prova la nostra perseveranza …, e il nostro amore.
Non va trascurato che nella parabola con cui Gesù giustifica l’incessante preghiera i tre personaggi che agiscono sono vincolati da un rapporto di amicizia reciproca: chi viene nella notte a chiedere; chi si risveglia e si alza per accoglierlo; chi, infastidito, ha e darà il pane desiderato. Una reciproca amicizia li unisce e caratterizza. Chiedere senza stancarsi è, quindi, una questione tra amici. Per ottenere ciò che si vuole, si deve chiedere costantemente, importunando, anche sfacciatamente, l’amico! Ciò che potrebbe difficilmente essere raggiunto con la semplice amicizia, arà raggiunto attraverso la perseveranza. Ovviamente chi cerca cibo durante la notte non ha paura d’essere ritenuto come inopportuno, perché sa d’essere amico; infatti, non sono andati a risvegliare il vicino indifferente o ostile, ma si azzardarono solo con l’amico.
La preghiera si conclude quando si ottiene ciò che è stato chiesto
La preghiera si conclude quando Dio concede quanto è stato domandato, ma a patto che sia considerato un amico fedele, il compagno che deve sopportare il nostro disturbo. Nel frattempo, dobbiamo continuare a chiedere se si desidera ricevere. L’impertinenza di chiedere fuori ora è giustificata se è guidata dall’affetto e dalla fiducia che merita un Dio amico. Chissà se, non sapendo che siamo amati da Dio, non osiamo domandare costantemente quello che ci serve! La nostra preghiera si rende sempre più rara, breve e incostante, non perché abbiamo tutto a sufficienza, ma perché ci manca di saperci amati. C’è bisogno di sentirsi amati da Dio, liberi dalla paura o moderazione, per osare ad importunarlo.
Vista così – e Gesù la presenta così – la preghiera è un esercizio di amicizia, che inizia quando ci manca qualcosa e termina quando ci viene dato. Nel frattempo, si esercita l’amicizia implorando l’Amico. Chi prega parlando con l’Amico usa il suo bisogno, l’urgenza in cui ci si trova, per irrobustire l’amicizia di cui già gode. Prega ripetutamente non perché dubiti d’essere ascoltato, ma perché gli piace intrattenersi con il suo Amico.
Nella parabola, chi chiede nel bel mezzo della notte, non lo fa per ottenere qualcosa per lui, qualcosa di cui ha urgente bisogno. Se si sveglia dal sonno, rischiando di risvegliare tutta la sua famiglia, è perché l’amico appena arrivato lo lasci in pace; e solo soddisfacendo il suo bisogno, si sbarazzerà di lui. Per lo stesso motivo, l’amico che viene nel mezzo della notte gli darà il pane desiderato … in modo che lui e la sua famiglia possano continuare a riposare. L’amico si sbarazzerà di chi è venuto da lui solo quando avrà soddisfatto la sua richiesta. L’amicizia tra i due è la ragione per cui, al momento meno opportuno, è richiesto l’aiuto. Ma il motivo per cui viene dato ciò che chiede è, piuttosto, il desiderio di non essere più importunati.
La preghiera dell’impertinente non chiede per se stesso, ma per l’amico inopportuno
Due sono le conseguenze per la vita di preghiera, che derivano dalla situazione ricreata da Gesù nella parabola. In primo luogo, la richiesta, da essere praticata senza stancarsi fino ad ottenere ciò che è richiesto, è una domanda a favore dell’amico bisognoso del nostro aiuto. In secondo luogo, dobbiamo continuare a chiedere all’amico che ci può aiutare per aiutare l’altro che è venuto a noi fino ad essere ascoltati. La richiesta del primo, benché ci risulti fastidiosa e inopportuna, nutre la nostra richiesta, e per non fallire, non dovremo lasciare che ci deluda l’amico a cui ci rivolgiamo. Lo assilleremo con le nostre ripetute richieste, perché solo ottenendo quello che chiediamo, anche noi ci libereremo dell’amico impertinente.
Dio sopporta l’essere incomodato, se ciò che gli si chiede non è per noi. A Lui non incomoda la nostra indiscrezione ripetuta, fintanto che è motivata dal desiderio di aiutare chi ci ha chiesto aiuto. Il fatto che colui a cui voglio bene soffra per qualcosa di inatteso, è sufficiente perché Dio tolleri la mia impertinenza. Quel pregare incessantemente a cui Gesù ci esorta poggia su un bisogno non dell’orante, ma di uno dei suoi amici. La preghiera senza sosta deve essere una preghiera totalmente disinteressata, che non si nutre della propria povertà né si concentra sul desiderio di colmare il proprio bisogno. È la preghiera di chi vuole dare una mano ad un amico e non può, di chi “quando si vede nella necessità di dare, allora scopre le proprie carenze.”
Dal momento che il Padre conosce le nostre esigenze, “anche prima che gliele chiediate” (Mt 6,8), Gesù vuole che intercediamo per quelle dei nostri cari, fino a quando non possiamo aiutarli noi stessi. Gesù ci esorta ad essere audaci con Dio, persino ad incomodarlo, se ci guida il benessere del nostro prossimo. Non importa al Padre che lo si disturbi, se lo facciamo per soddisfare la fame, la necessità urgente, dell’amico, tanto bisognoso come invadente.
Indicandoci che possiamo andare dal Padre sempre, anche alle ore più intempestive e con reiterazione impertinente, Gesù ci sta incoraggiando ad avere fiducia in chi so che ci ama e al quale, riposando in Lui il nostro cuore, non disturbano le nostre mancanze. Vedendo Dio come il nostro amico, non avremo timore di disturbarlo con le nostre preoccupazioni e apprensioni. Parlando così, Gesù ci fa sapere, penso, che possiamo perdere il rispetto dovuto, se non ci manca un vero amore filiale.
Ringraziamo il Signore per questo insegnamento sorprendente: il Padre non si libera delle nostre carenze immediatamente perché vuole che non smettiamo di supplicarlo. Perché Lui vuole che rimaniamo in preghiera permanente anche se non ci concede subito quello che chiediamo. Forse questo è qualcosa a cui non avevamo pensato. Ma è salutare sapere che la nostra povertà personale può, deve, nutrire il nostro amore fiducioso in Dio. Lui ci faccia di sapere e sentire ciò che ci manca per andare sempre da Lui e non perderlo mai.
Don Pascual Chavez, Rettor Maggiore emerito
Immagine di copertina: particolare di una foto tratta da Pixabay


