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Il Santo del giorno

 

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8 Febbraio

Nome: GIROLAMO

S. GIROLAMO EMILIANI
Confessore († 1537)

 

Nulla si conosce dell’infanzia e della giovinezza di S. Girolamo Emiliani nato a Venezia. Per quasi vent’anni non si sa nulla di lui, ma è facile immaginarlo intraprendere la carriera delle armi. Nel 1511, è castellano a Castelnuovo, presso Treviso, al tempo della Lega di Cambrai, stretta da tutti gli Stati d’Europa per schiacciare la potenza di Venezia. Caduto prigioniero, è confinato in un torrione, legato da pesanti catene. Nel carcere si profila la sua conversione, o meglio la sua vocazione. Girolamo è devoto della Madonna, e a Lei si rivolge; a Lei fa voto, in attesa di riacquistare la libertà. Di qui in avanti, le vicende di Girolamo Emiliani si ricollegano a quelle di altri due Santi contemporanei: Antonio Maria Zaccaria, di Cremona e Gaetano Thiene, di Vicenza, fondatori dei Barnabiti e dei Teatini. San Girolamo, da parte sua, darà vita alla Compagnia dei Servi dei Poveri che poi prese il nome di Società dei Somaschi, formata da laici e da preti. Egli restò sempre laico. I principali obiettivi di questi tre Santi fondatori furono l’istruzione e la formazione del clero; l’assistenza dei bisognosi; l’educazione dei giovani.
Furono Santi innovatori e preveggenti che anticiparono le risoluzioni del Concilio di Trento, e la cosiddetta Contro-riforma Cattolica. S. Girolamo pensò agli orfani, e fondò il primo orfanotrofio retto con concezioni moderne. Una novità pedagogica fu quella di farsi aiutare, nell’opera di evangelizzazione, dai suoi orfani più grandicelli, che insegnavano la Dottrina cristiana col metodo della domanda e della risposta. Poi rivolse la sua carità verso le giovani abbandonate, le ragazze cioè che dopo un’esperienza peccaminosa, tornavano sulla via della rettitudine. Aprì istituti a Verona, a Brescia, a Bergamo, a Como e a Milano. Durante una pestilenza, fu contagiato dagli ammalati che curava con sommo amore. Morì nel 1537. Fu proclamato, nel 1928, Patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata.

8 Febbraio

Nome: GIUSEPPINA

S.ta GIUSEPPINA BAKHITA Religiosa (1869-1947)

 

Giuseppina Bakhita nacque nel Sudan nel 1869. Un giorno venne rapita e fu tale lo spavento che provò che dimenticò persino il suo nome. Bakhita, che significa “fortunata”, è il nome che le diedero, con ironia, i suoi rapitori. Venduta e rivenduta, conobbe umiliazioni e sofferenze, finché nella capitale del Sudan fu comperata dal console italiano, nella cui famiglia Bakhita incominciò a trovare serenità e affetto. Essi alla loro bambina avevano insegnato il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre, e la bimba di tre anni faceva dire le sue preghiere anche a Bakhita. Per uno spazio di dieci mesi circa il Console dovette lasciare in Italia Bakhita e ottennero che fosse temporaneamente ospitata dalle suore canossiane, a Venezia. Iniziò così la sua educazione cristiana. Bakhita aveva quasi vent’anni, e non sapeva né leggere, né scrivere, ma sapeva ascoltare. La cosa che più l’affascinava era sentirsi dire che era figlia di Dio e che Dio l’amava. Nell’attesa umile del suo Battesimo, pensava spesso di non esserne degna. Il nome di Battesimo fu: Giuseppina Bakhita.
Quarant’anni dopo condusse un’amica a vedere il luogo del suo Battesimo. “Qui, disse, sono diventata figlia di Dio... mi povera negra, mi povera negra...”. Fu chiamato ad esaminarla il Cardinale Giuseppe Sarto - il futuro San Pio X - che, dopo aver ascoltato la ragazza che si esprimeva nel suo stentato dialetto, le disse (anch’egli in dialetto): “Pronunciate i santi voti senza timore. Gesù vi ama”. Con questo dialogo tra due futuri santi, cominciò la storia di Madre Giuseppina Bakhita, suora canossiana. Non era in grado di leggere tanti libri. “Chiesi un giorno a Madre Bakhita: “Come fa, Madre, ad essere così buona?”. Mi rispose: “Come si fa ad offendere un padrone così buono, come è Dio?”. E ripeteva: “mi figlia di Dio, mi povera grama, mi povera negra, povera schiava”. Per oltre cinquant’anni si prestò in diverse occupazioni. La sua umiltà, la sua semplicità e il suo costante sorriso conquistarono i cittadini di Schio. Le sue ultime parole furono: “Quanto sono contenta... la Madonna... la Madonna!”. Morì l’8 febbraio 1947. E’ stata canonizzata nel 2000.